Una riflessione mia e di Rossella Latempa sulla falsa discontinuità della politica del ministro Fioramonti rispetto alle politiche dei governi precedenti
A dispetto della “discontinuità” dichiarata dal nuovo esecutivo, sulla scuola sembra si voglia procedere col pilota automatico, portando a compimento un disegno di riforma di lunga incubazione, che il governo Renzi ha avuto il merito di rendere complessivamente riconoscibile nella sua coerenza. La pubblicistica recente in tema di istruzione riporta all’attualità temi e contenuti tipici della”cultura della Buona Scuola”, vagamente riverniciati, con l’intento sottile (almeno per chi non lo sappia intendere) di convincere in merito al carattere progressista delle spinte riformatrici, contraddicendo i più elementari principi di realtà. Leggiamo dunque della necessità di attuare nuove “metodologie didattiche delle non cognitive skills“, di superare “una visione solo cognitiva dell’apprendimento“, dell’esigenza di una “didattica innovativa” che “contrasti la disaffezione nei confronti della scuola” e combatta la “povertà educativa“. Si tratta di strategie retoriche, persuasive e comunicative ampiamente riconoscibili, usuali da parte di una certa sinistra “neoliberista”, decisa a mostrare come interventi regressivi, per esempio il Jobs Act, siano di effettivamente di sinistra. Ma per scardinare definitivamente ciò che resta della scuola democratica, della sua organizzazione, delle sue finalità formative e delle sue fondamenta politico-civili, ecco che è necessario superare definitivamente la resistenza degli insegnanti: quanto meno di quelli che il Miur definiva in un rapporto del 2017 “professionisti di vecchia data ancora convinti che il titolo di studio non solo serva, ma sia un valore”.