25
Giu
2006

Giampiero Carocci

(pp.356/357) non fare da pag. 358 alla fine.

Il brano inzia con la constatazione del carattere elitario dei primi governi italiani (usa l’espressione malthusianesimo). Segue una disamina sia della situazione elettorale sia della popolazione; l’aspetto più rilevante è che la quasi totalità degli esclusi al diritto di voto era per lo più ostile alle istituzioni.

Ciò che vi era di positivo in questa visione elitaria era però l’omogeneità sociale (e dunque culturale) che ne derivava, che creava una organicità tra l’elelttore e l’eletto (notate l’affinità con le considerazioni di Gramsci sulla egemonia).

Lo storico affronta poi una questione delicata: è definibile una dittatura il potere esercitato dalla Destra storica? La domanda è suggestiva, per due ordini di motivi: primo, parte del personale politico italiano avrebbe salutato favorevolmente una svolta autoritaria nella direzione politica della nazione; secondo, l’alleanza con Napoleone III suggeriva un’organizzazione politica simile a quella dello Stato francese.

Se però ciò era vero sulla carta, nella realtà vi erano due differenze abissali: l’autorità dello Stato italiano era debolissima (vd. le considerazioni sulle sconfitte di Lissa e di Custoza); non esisteva la massa di contadini post rivoluzionari pronti ad appoggiare la dittatura contro le ideologie socialiste (vd. esperienza del 1848 in Francia e vedi, soprattutto, come ritorna il problema della mancata rivoluzione contadina in italia).

La “dittatura” –se così si può chiamare- fu realizzata dalla Destra confondendo Stato e amministrazione e affidando la delicata funzione del Prefetto per lo più a politici (vd. l’espressione “prevalenza dello Stato sulla società”).