Sulle strane affinità tra i riformatori della scuola e il ministro Bottai
Un mio intervento su “L’identità di Clio, consultabile al seguente link:
https://www.lidentitadiclio.com/riforma-scuola-bottai-gentile/
Un mio intervento su “L’identità di Clio, consultabile al seguente link:
https://www.lidentitadiclio.com/riforma-scuola-bottai-gentile/
L’articolo è consultabile al seguente link: https://www.lidentitadiclio.com/miur-educazione-civica/
l’articolo e consultabile al seguente link:
https://www.casadellacultura.it/1151/didattica-digitale-integrata-quale-metodo-
di Giovanni Carosotti e Rossella Latempa
Nell’ultimo contributo dedicato all’idea di scuola di cui si fa interprete il nuovo ministro dell’Istruzione, ci concentriamo sulla coppia concettuale a nostro parere più rappresentativa: il binomio “autonomia” – “valutazione”. Tale accostamento non è una novità di oggi, ma si salda e si va progressivamente consolidando a partire da elaborazioni teoriche che datano agli anni Novanta. Fu allora che si pose e si formulò come ovvio quel legame scuola-società-economia su cui doveva essere rifondato per intero il paradigma dell’istruzione. L’analisi che proponiamo, che mette a confronto i documenti di allora e quelli attuali, analizzati più ampiamente nel contributo precedente, ci sembra lo dimostri con poche possibilità di fraintendimento. È presente però un elemento all’apparenza nuovo nei documenti recenti. L’idea di scuola e di società vengono presentate con modalità linguistiche di carattere etico-sociale che le rendono indiscutibili, se non a costo di porre a rischio l’avvenire delle future generazioni. Lo scopo è quello di imporre una sorta di “vincolo deontologico” alle scuole e a chi in esse lavora. Tale strategia linguistica, tipica della cultura e dell’ideologia neoliberale, che ha trasformato lo spazio pubblico e si è consolidata nel corso di trent’anni, capita oggi in un momento assai propizio. Con una soggettività docente logorata da decenni di delegittimazione, che ha spesso interiorizzato questa comunicazione “eticamente intimidatoria” ; con scuole che hanno metabolizzato una logica economico-competitiva e che parlano la lingua del management e della promozione aziendale. Tutti segni, questi, che il binomio autonomia-valutazione, lungi dall’esser stato tradito o inapplicato, ha lavorato bene e in profondità, in questi decenni. E che quindi la sola reale novità sarebbe rompere quest’incantesimo.
di Giovanni Carosotti e Rossella Latempa
Dopo avere esaminato i lavori della task force presieduta la primavera scorsa da Patrizio Bianchi, in questo secondo contributo affrontiamo direttamente il tema della scuola del futuro, come viene descritta dal neo ministro e dal gruppo di lavoro che egli ha diretto. L’impressione che se ne ricava è che, al di là di una retorica tutta improntata alla novità e alla radicale trasformazione, ciò che viene proposto è assolutamente in linea con i principi fondativi della Buona Scuola, nei confronti della quale il nuovo esecutivo sembra voler agire in assoluta continuità. Essenzializzazione dei curriculi, centralità del sapere matematico-scientifico, funzionale allo sviluppo di una forma mentis imprenditoriale e progettuale, oltre che fondamento delle competenze digitali; uso estemporaneo e funzionalistico del sapere umanistico; destrutturazione dei gruppi classe, del tempo e dello spazio- scuola; annullamento dell’autonomia intellettuale della funzione docente; ridefinizione della governance scolastica, con preminenza dell’azione dirigenziale; delega diffusa della responsabilità decisionale delle fasi decisive del progetto didattico alle esigenze di soggetti economici esterni. Questo disegno viene però presentato come proprio di un’idea di comunità inclusiva e solidale, capace di risolvere quella diseguaglianza di opportunità che affligge la scuola italiana. Si ridefinisce quindi la categoria stessa di uguaglianza, che coinciderebbe col rendere universale il modello antropologico dell’(auto)imprenditorialità e della resilienza. La vera funzione “sociale” della scuola – e il dovere deontologico dei suoi insegnanti – consiste nel formare soggettività capaci di conformarsi intellettualmente e materialmente alle “comunità” di riferimento.
di Giovanni Carosotti e Rossella Latempa
Nel governo Draghi, l’economista Patrizio Bianchi è stato scelto come nuovo ministro dell’Istruzione in qualità di “tecnico”. Anche nel suo caso, il senso di tale espressione appare quanto mai discutibile, quasi una copertura per imporre una politica in qualche modo obbligata, motivata da uno stato d’eccezione. Nel primo di tre contributi dedicati all’idea di scuola che il neoministro ha più volte descritto – in un suo recente libro, nei documenti istituzionali, in numerose interviste – ci dedichiamo in particolare alle elaborazioni della task force da lui presieduta e attiva nella primavera dello scorso anno, in piena emergenza pandemica. Il primo degli obiettivi di tale gruppo di lavoro riguardava l’avvio del successivo anno scolastico, per permettere il rientro degli alunni nelle scuole in piena sicurezza. Ma tale obiettivo era in realtà subordinato a un’altra serie di scopi, di carattere evidentemente politico, finalizzati a trasformare la scuola secondo direzioni in piena continuità con i paradigmi della ormai sua più che decennale riforma permanente; e in particolare con la Legge 107, la Buona Scuola. La maggior parte degli strumenti previsti dal lavoro dei “tecnici” sulla scuola -sulla cui efficacia, fin dall’autunno scorso, ciascuno potrà avanzare un giudizio personale – non aveva alcun legame con la drammatica situazione sanitaria vissuta dal paese. Gli obiettivi erano altri, e riguardano il futuro dell’istruzione.
di Rossella Latempa e Giovanni Carosotti
La Fondazione Agnelli torna a proporre alcuni risultati della sperimentazione “Osservazioni in classe”, condotta diversi anni fa in collaborazione con l’ INVALSI, i cui esiti erano in parte stati anticipati nel 2017 e da noi già commentati. Le ulteriori “elaborazioni e interpretazioni dei dati” proposte oggi, di poco si discostano da quelle di allora e sono state riprese e amplificate da quotidiani, trasmissioni radio, riviste di settore. Persino da Vanity Fair. Come potete immaginare, il quadro che emerge dal racconto è desolante. Giudizi sommari e generici, privi di qualsiasi analisi dei metodi utilizzati, ripetuti acriticamente e senza che sia lasciato alcuno spazio alle posizioni di chi dissente. I soli nomi di Fondazione Agnelli e INVALSI bastano a fornire il crisma di scientificità e indiscutibilità a numeri e percentuali. Questi sarebbero frutto di una ricerca “scientifica” basata su una valutazione “oggettiva”, corroborata da criteri quantitativi che non ammetterebbero obiezioni. Senza tornare sui dettagli della metodologia utilizzata per dare “le pagelle agli insegnanti” – in un momento quanto mai propizio, che politicamente serve a fiancheggiare le riforme previste dal Recovery Plan – vale la pena riportare l’attenzione sulle caratteristiche del “buon insegnante”, che emergono dal “manuale” del (buon) osservatore, elaborato dall’INVALSI. Si capisce allora che i criteri utilizzati per dare i voti ai docenti hanno un tale margine di soggettivismo, se non di arbitrarietà, da non corrispondere affatto a quella valutazione oggettiva che ci viene raccontata. Diciamo piuttosto che si fa valere il principio d’autorità che, quando a parlare sono Fondazione Agnelli, INVALSI o Associazione Nazionale Presidi, conta sempre. Meno se a esprimersi sono i docenti, che in classe ci stanno veramente.