La rivoluzione industriale
La rivoluzione industriale
CAPITOLO PRIMO
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Definizione
L’espressione rivoluzione industriale indica il passaggio da un sistema economico basato prevalentemente sull’agricoltura e sul commercio, a uno fondato sullo sviluppo della grande industria manifatturiera, avvenuto in Inghilterra fra il XVIII e XIX secolo e, successivamente, nel resto d’Europa.
Il concetto di “rivoluzione”
Il termine rivoluzione è utilizzato in senso metaforico. Il concetto di rivoluzione, infatti, presuppone un sovvertimento delle istituzioni repentino e violento che, in breve tempo, sconvolge l’intera struttura sociale e ha, come conseguenza, un radicale cambiamento delle mentalità e dei costumi.
Perché “rivoluzione”?
La rivoluzione industriale si produsse nell’arco di decenni e, di conseguenza, non fu una rivoluzione. Si può però utilizzare tale concetto, in quanto le trasformazioni prodotte dalla produzione industriale interessarono non solo l’ambito economico, ma investirono in maniera più complessiva la realtà: le strutture sociali, gli avvenimenti politici e, più ampiamente, gli stessi valori morali e culturali della civiltà europea.
Studiare la rivoluzione industriale
Non è sufficiente allora, nell’esaminare tale argomento, limitarsi alle descrizioni delle innovazioni tecnologiche che mutarono il processo produttivo. E’ necessario considerare, nel contempo, le conseguenze sociali dovute alla produzione industriale, sia nel luogo di lavoro sia nella vita pubblica; le espressioni culturali che, in chiave apologetica o critica, sono nate in seguito ai nuovi criteri di produzione; infine, le iniziative di ordine giuridico che hanno preso atto, e quindi regolamentato, il nuovo modo di esercitare l’attività lavorativa.
DOMANDE
1) Definisci la rivoluzione industriale
2) Spiega l’utilizzo del concetto di rivoluzione nell’indicazione di un fenomeno prodottosi nel corso di diversi decenni.
1. PERCHE’ IN INGHILTERRA?LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Definizione
L’espressione rivoluzione industriale indica il passaggio da un sistema economico basato prevalentemente sull’agricoltura e sul commercio, a uno fondato sullo sviluppo della grande industria manifatturiera, avvenuto in Inghilterra fra il XVIII e XIX secolo e, successivamente, nel resto d’Europa.
Il concetto di “rivoluzione”
Il termine rivoluzione è utilizzato in senso metaforico. Il concetto di rivoluzione, infatti, presuppone un sovvertimento delle istituzioni repentino e violento che, in breve tempo, sconvolge l’intera struttura sociale e ha, come conseguenza, un radicale cambiamento delle mentalità e dei costumi.
Perché “rivoluzione”?
La rivoluzione industriale si produsse nell’arco di decenni e, di conseguenza, non fu una rivoluzione. Si può però utilizzare tale concetto, in quanto le trasformazioni prodotte dalla produzione industriale interessarono non solo l’ambito economico, ma investirono in maniera più complessiva la realtà: le strutture sociali, gli avvenimenti politici e, più ampiamente, gli stessi valori morali e culturali della civiltà europea.
Studiare la rivoluzione industriale
Non è sufficiente allora, nell’esaminare tale argomento, limitarsi alle descrizioni delle innovazioni tecnologiche che mutarono il processo produttivo. E’ necessario considerare, nel contempo, le conseguenze sociali dovute alla produzione industriale, sia nel luogo di lavoro sia nella vita pubblica; le espressioni culturali che, in chiave apologetica o critica, sono nate in seguito ai nuovi criteri di produzione; infine, le iniziative di ordine giuridico che hanno preso atto, e quindi regolamentato, il nuovo modo di esercitare l’attività lavorativa.
DOMANDE
1) Definisci la rivoluzione industriale
2) Spiega l’utilizzo del concetto di rivoluzione nell’indicazione di un fenomeno prodottosi nel corso di diversi decenni.
1. PERCHE’ IN INGHILTERRA?Cronologia
La prima rivoluzione produttiva si realizza verso la fine del XVIII secolo, in particolare nel settore tessile. Questo nuovo processo economico si sviluppò spontaneamente e il fatto che sorse in Inghilterra non fu casuale.
Modificazione dell’economia agricola
In Inghilterra il feudalesimo era finito da tempo e la stessa classe nobile e proprietaria aveva acquistato un atteggiamento interessato allo sfruttamento economico della terra; furono migliorate le tecniche di coltivazione e razionalizzato il lavoro delle campagne. Aumentò di conseguenza la produttività agricola e la disponibilità di beni alimentari per il mercato.
Gli enclosures act
L’interesse per il valore economico della terra portò alla cessazione del fenomeno delle terre demaniali. Erano questi appezzamenti di terra pubblici, che venivano sfruttati da contadini non proprietari per il pascolo comune e che davano loro la possibilità di sostentamento. Tali terre, attraverso ripetuti decreti, vennero recintate e divennero proprietà privata, lasciando senza sostentamento un gran numero di persone.
Intensificazione delle recinzioni
Il fenomeno delle recinzioni era in atto dalla fine del medioevo, ma solo in questi anni assume un’intensità considerevole, attraverso l’applicazione di appositi provvedimenti legislativi che, in pochi anni, privatizzarono tutte le terre comuni.
I disoccupati e le città
Il fenomeno delle recinzioni tolse a buona parte della popolazione i mezzi di sostentamento. Si formò così una massa di disoccupati che si riversò sulle città, creando problemi anche di ordine pubblico. Questa massa di persone andrà a costituire i futuri lavoratori salariati delle industrie.
Muta la condizione dei contadini
Lo sfruttamento capitalista della terra mutò anche la condizione dei contadini. Sino ad allora ai contadini veniva assegnata parte della proprietà padronale; una volta consegnata la quota di prodotto stabilita, erano liberi di lavorarla a piacimento. Il padrone invece, è ora interessato a uno sfruttamento massimo in tutta la superficie delle sue proprietà e vuole controllare direttamente i lavoratori.
Il contadino salariato
Il contadino venne allora stipendiato in base al tempo di lavoro e diventò così un lavoratore salariato. La condizione del contadino in questo modo peggiorò e numerosi furono i lavoratori della terra costretti ad abbandonare le campagne e a incrementare la massa dei disoccupati urbani.
Le prime forme di industrializzazione sono sempre collegate all’economia agricola
Le prime attività industriali riguardarono il settore tessile, che era strettamente legato all’attività agricola. Fu infatti l’avvenuto aumento di produzione, dovuto all’intensificazione dello sfruttamento della terra, che favorì la progettazione di sistemi di lavoro e portarono a un più veloce sfruttamento della gran quantità di prodotto tessile.
L’importanza delle colonie
Un’altra ragione del primato inglese era dovuta al possesso delle colonie e all’attività della Compagnia delle Indie centrali. Il monopolio inglese del commercio mondiale era pressoché assoluto. Il commercio del cotone raggiunse nel 1850 la metà delle esportazioni inglesi, occupando 1.500.000 lavoratori.
DOMANDE
1) In quale settore economico si manifesta, per la prima volta, il metodo di produzione industriale?
2) Riepiloga i motivi che favorirono lo sviluppo dell’industria in Inghilterra.
3) Indica le principali trasformazioni che interessarono la produzione agricola in Inghilterra.
4) Precisa l’importanza dei provvedimenti di enclouseres.
5) Quali conseguenze portò l’aumento della disoccupazione?
6) A quali diverse condizioni dovettero sottostare i contadini?
7) Per quale motivi il primo settore in cui si sviluppò l’industrialismo era fortemente legato all’agricoltura?
8) Precisa l’importanza che ebbe per l’Inghilterra il possesso delle colonie.
2. LE INNOVAZIONI TECNICHE
La caratteristica del lavoro di fabbrica, che sostituì quello artigianale, fu la meccanizzazione del lavoro, ossia l’impiego di macchine che automatizzavano tecniche fino a quel momento manuali.
Sviluppo tecnologico e modo di produzione
Vi fu un condizionamento reciproco fra sviluppo tecnologico e mutamento della produzione: da una parte la grande quantità di materie prime, proveniente dalle colonie, necessitava, per trarre maggiori profitti, di un sistema di produzione più moderno. D’altra parte, proprio le innovazioni tecniche portarono ad un intensificarsi dello sfruttamento coloniale e ad un aumento continuo della produzione.
La meccanizzazione del lavoro
Le prime innovazione, nel campo della lavorazione tessile, si ebbero già nel corso del ‘700: nel 1733 John Kay invento la spoletta volante, che raddoppiò la capacità produttiva dei telai; nel 1764 James Hargreaves invento la spinning Jenny, una macchina filatrice che utilizzava la spoletta automatica; nel 1785 fu introdotto, da parte di Edmond Cartwright, il telaio automatico, mentre, qualche anno più avanti, la cotton gin permetteva di separare automaticamente la fibra del cotone dal seme.
La forza motrice
Fondamentale fu anche l’introduzione di una nuova e più efficace forza motrice. All’inizio si ricorreva all’energia idraulica e, quindi, quasi tutte le fabbriche erano situate nelle vicinanze di un fiume o di un lago. Con l’introduzione della macchina a vapore, inventata da James Watt nel 1780, si introdusse questa nuova forza motrice universale, che permise alle fabbriche di situarsi nelle vicinanze della città.
L’industria siderurgica
La siderurgia si sviluppò più tardi e contraddistinse la seconda fase della rivoluzione industriale [cfr. cap.9, pp.1-3]. La necessità di più numerose macchine per l’industria tessile portò alla produzione sempre maggiore di ferro greggio e alla sua lavorazione.
DATE
1733 John Kay inventa la spoletta volante
1764 James Hargreaves inventa la spinning Jenny
1775 James Watt inventa la macchina a vapore
1785 Edmond Cartwright introduce il telaio automatico
DOMANDE
1) Quali furono le principali innovazioni tecnologiche, che riguardarono la lavorazione tessile nel XVIII secolo?
2) La meccanizzazione del lavoro precedette l’utilizzo di nuove fonti d’energia?
3) Quali forze motrici facilitarono lo sviluppo industriale?
4) Indica quando si sviluppo l’industria siderurgica?
5) Per quale motivo lo sviluppo della siderurgia fu conseguente a quello tessile?
3. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI
Ancora sull’Inghilterra
In Inghilterra, come abbiamo visto, la rivoluzione industriale fu un processo spontaneo e fu favorito dal carattere dinamico della classe proprietaria e da un prevalere della borghesia a livello economico.
Gli altri Stati
Negli altri Stati, invece, la produzione industriale venne introdotta in maniera più cauta, in quanto le classi egemoni temevano che il nuovo modello produttivo potesse mettere in discussione i loro consolidati poteri. Si volevano avere i vantaggi dell’industrializzazione, senza sconvolgere l’assetto tradizionale della società.
La Prussia
In Prussia il potere era in mano alla classe dei proprietari terrieri, gli Junker. Questi promossero una capitalizzazione delle campagne, senza tuttavia modificare i rapporti di potere, di natura oligarchica.
Lo Zollverein
L’iniziativa più rilevante fu lo Zollverein, ossia l’abolizione delle dogane all’interno di tutta la Confederazione germanica, che permetteva un maggiore commercio e favoriva una spinta produttiva.
Inizio ‘800
All’inizio del secolo l’unica industria avanzata era quella tessile, mentre scarsa era ancora la produzione del ferro e del carbone che avrebbe, in avvenire, costituito la ricchezza dell’economia tedesca.
L’Austria
L’Austria, coerentemente al ruolo di protagonista nella politica della Restaurazione [cfr. cap.2], si dimostrò, all’inizio del secolo, particolarmente ostile all’industrializzazione, timorosa che potesse mettere in discussione la gerarchia tradizionale fra le classi sociali.
Francesco I
Addirittura l’Imperatore Francesco I pose ilo veto alla costruzione di fabbriche. Tale situazione si modificò dopo il 1848 [vd.].
La Francia
La Francia vantava, già all’inizio della Rivoluzione francese, alcune industrie all’avanguardia in Europa (in particolare le telerie di Lione).
I contadini
La rivoluzione aveva dato alcuni privilegi alla classe contadina, che aveva partecipato attivamente alle insurrezioni. Questa situazione non poteva garantire un’accumulazione produttiva pari a quella inglese; pure la Francia entrò immediatamente tra le grandi potenze industriali e il suo ruolo si intensificò potentemente dopo il 1848 [cfr. cap.7].
Gli altri Paesi
Incrementi industriali si ebbero pure in Olanda, Belgio e Italia settentrionale. Regioni sottosviluppate rimasero invece l’Italia meridionale e l’Irlanda, dove infatti si verificò il fenomeno dell’emigrazione.
L’Italia meridionale
Nel sud dell’Italia si ebbe una politica di parziale defeudalizzazione, con un, sia pure cauto, allentamento dei rapporti di dipendenza. Pure questo processo favorì sempre i grandi baroni, che non riuscirono a modernizzare la produzione.
L’Irlanda
L’Irlanda vedeva invece impedita dall’esterno una modificazione dei rapporti sociali. L’Inghilterra, così sviluppata al suo interno, negava a tale territorio, a lei sottomesso, qualsiasi possibilità di sviluppo. Dal punto di vista sociale, rimase pesante la distinzione sociale fra cittadini protestanti e cattolici; da quello economico, unica risorsa dell’Irlanda era la coltivazione della patata.
DOMANDE
1) Precisa il differente svilupparsi della produzione industriale fra l’Inghilterra e gli altri paesi europei.
2) Per quale motivo gli altri Stati erano più cauti nel favorire, in una direzione industriale, una modificazione della produzione?
3) Chiarisci come i Junker, in Prussia, siano riusciti modificare l’assetto produttivo senza mettere in discussione il loro potere.
4) Che cos’è lo Zollverein?
5) Come mutò l’economia tedesca nella prima e nella secondai metà del XIX secolo?
6) Indica la posizione dell’Austria nei confronti della produzione industriale.
7) Precisa le differenze fra la situazione contadina in Francia e in Inghilterra.
8) Indica le cause dell’arretratezza in Italia meridionale.
9) …e in Irlanda?
4. LE CONSEGUENZE SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Il nuovo modello di produzione modificò profondamente la vita di moltissime persone e, in particolare, di quella gran massa di uomini disoccupati in seguito alla politica delle enclousures, che si trasformarono in operai salariati.
Il proletariato
Si formò una nuova classe sociale: il proletariato. Con quest’espressione s’intende quella classe d’individui che non possedeva alcuna risorsa esterna per poter sopravvivere (neanche le terre demaniali) e che poteva sfruttare unicamente la sua forza-lavoro. Tali lavoratori vendevano a un proprietario tale forza lavoro e ne ricevevano un salario. Il gran numero di proletari rendeva però ciascuno di essi ricattabile dal datore di lavoro e costretto ad accettare condizioni particolarmente sfavorevoli.
Peggioramento delle condizioni di vita
Le condizioni di vita delle classi più deboli peggiorarono, sia per quanto riguarda il lavoro in fabbrica sia per la qualità della vita all’interno dell’agglomerato urbano. Numerose furono le inchieste organizzate dal governo britannico che testimoniano le situazioni d’indigenza delle classi salariate e dei disoccupati.
Il dibattito storiografico
Questa negativa situazione sociale ha condotto un numero considerevole di storici a negare le capacità della rivoluzione industriale di produrre miglioramenti nelle condizioni di vita delle masse. I miglioramenti riguarderebbero solo una parte della popolazione, quella agiata, che poteva partecipare alla distribuzione della nuova ricchezza prodotta e quindi rendere più comoda, in maniera sensibile, la propria vita.
Una tesi alternativa
Un altro gruppo di storici, però, ritiene errata questa interpretazione e sottolinea come il nuovo sistema di produzione, al di là di alcuni scompensi iniziali, abbia comportato indubbi progressi di cui ha beneficiato l’intera società.
Conseguenze positive della rivoluzione industriale
Secondo questi ultimi storici, i fattori che dimostrano il miglioramento oggettivo apportato dall’industrializzazione sono: la scomparsa delle crisi demografiche di vecchio tipo; il miglioramento della situazione alimentare; le probabilità di vita che aumentarono progressivamente in quasi o tutti i paesi d’Europa; l’aumento dei redditi reali che consentì un miglioramento nel vitto e nel vestiario; maggiore igiene negli ambienti urbani.
IL DIBATTITO STORIOGRAFICOOttimisti e pessimisti
Possiamo considerare due gruppi di storici della rivoluzione industriale: i pessimisti, che sottolineano il peggioramento del livello di vita dei lavoratori, e gli ottimisti i quali, al contrario, ritengono che, ad una corretta lettura dei dati, non si possa negare una tendenza all’aumento generale del tenore di vita.
Anche i lavoratori migliorano
Secondo gli “ottimisti” il reddito pro capite aumentò anche per i lavoratori, pur non consentendo loro che un livello di vita estremamente misero. Fu la sempre maggiore coscienza politica dei lavoratori e le loro aspirazioni frustrate, che li condussero a sottolineare con maggiore forza la loro povertà e a non rendersi conto del miglioramento, comunque realizzatosi, del loro tenore di vita.
I nomi
Fra gli “ottimisti” possiamo ricordare gli storici R.M.Hartwell e Maxwell; fra i “pessimisti” E.Hobsbwan e L.Munford.
Le conquiste operaie
Secondo Hobsbwan non si può in effetti negare il miglioramento progressivo delle condizioni di vita in Europa nel corso del XIX secolo, solo che queste non sono una conseguenza esclusiva del nuovo modo di produzione ma delle lotte e delle conquiste ottenute dal movimento operaio.
Lewis Munford
Munford ha dedicato la maggiorparte dei suoi sforzi intellettuali alla ricostruzione delle condizioni di vita proletarie nella città industriale: la crudezza delle situazioni descritte lo ha condotto a negare qualsiasi validità, almeno nei tempi immediati, all’interpretazione “ottimistica” della rivoluzione industriale.
Le condizioni di lavoro in fabbrica
Fine del lavoro artigianale
Con l’avvento della produzione industriale scomparve la tradizione del lavoro artigiano, incapace di fronteggiare la concorrenza di una produzione di serie. L’artigiano impiegava infatti troppo tempo nel dare origine a un prodotto finito, mentre in fabbrica lo stesso prodotto poteva essere realizzato in quantità giornaliere molto superiori, riducendo i costi.
La divisione del lavoro
L’aspetto più originale del lavoro di fabbrica fu la divisione del lavoro: la produzione veniva suddivisa in diverse fasi e gli operai, formando una catena di montaggio, si dedicavano a una sola di queste fasi, per lo più coadiuvando l’attività della macchina.
Semplificazione del lavoro
Il lavoro risultò molto più semplificato e monotono, riducendosi l’attività dell’operaio a pochi gesti identici da ripetersi lungo tutta la giornata lavorativa. Si ebbe così una dequalificazione del lavoro in quanto, per svolgere le mansioni dovute, non fu necessaria alcuna competenza specifica.
Vantaggi per il datore di lavoro
Tale dequalificazione fu vantaggiosa per il datore di lavoro, la cui unica preoccupazione era di risparmiare sul processo produttivo, in modo da poter produrre a costi minori e battere la concorrenza. Non essendoci più manodopera specializzata, il capitalista si ritrovò una grande offerta di lavoro e poté scegliere imponendo pesanti condizioni contrattuali. L’operaio si vide costretto ad accettare condizioni di lavoro particolarmente faticose e con scarsa retribuzione.
Le donne e i fanciulli
I datori di lavoro poterono assumere in grande quantità donne e fanciulli, che erano in grado di svolgere con eguale abilità le semplici mansioni richieste all’operaio. Donne e fanciulli, a parità di tempo di lavoro impiegato, venivano pagati molto meno rispetto a operai maschi adulti.
La giornata lavorativa
Il capitalista cercava di sfruttare al massimo la forza lavoro a lui sottoposta, anche quando si trattava di donne e fanciulli. La giornata lavorativa poteva andare dalle 12 alle 16 ore, prevedendo anche un ciclo produttivo continuo e, quindi, orari notturni.
La resistenza operaia e le prime misure legislativeAppoggio del Parlamento inglese agli industriali
In un primo tempo il Parlamento inglese, pur proclamandosi neutrale nei confronti dei diversi modi di produzione, favorì in realtà capitalisti industriali. Un’inchiesta del 1806 proclamò la complementarità del modo di produzione artigianale e industriale e ritenne superfluo ogni intervento per regolare la concorrenza. In questo modo il parlamento tolse qualsiasi possibilità di sopravvivenza alle cooperative artigiane.
Combinactions Act
Il Parlamento, oltre a riconoscere l’assoluta libertà dei produttori vietava, nel contempo, qualsiasi forma di associazionismo operaio, attraverso il Combinactions Act. Le rivolte e le manifestazioni ebbero tutte allora un carattere illegale e si conclusero spesso con dei massacri, come a Pentridge, nel 1817 e a Paterloo nel 1820.
Il luddismo
Una prima forma di opposizione operaia, totalmente illegale, fu il movimento luddista (dal nome dell’operaio che fondò il movimento, Ned Lud). I luddisti propagandavano la distruzione delle macchine, simbolo dello sfruttamento operaio; i loro gesti potevano essere puniti addirittura con la pena di morte.
Il rifiuto dell’industrialismo
Il luddismo rappresenta una forma di protesta contraria alla produzione industriale, che desiderava un ritorno a modalità produttive artigianali. Diversa quindi da altre forme di pensiero operaio [vd. avanti] dove non si rifiuterà l’industrialismo ma solo la distinzione di classe fra proprietari e salariati.
Riconoscimento dell’associazionismo operaio
Nel 1825, sull’onda dello sdegno di alcuni massacri perpetrati dalla polizia, il Parlamento riconobbe il diritto degli operai ad associarsi e nacquero le Trade Unions. Queste, però, non dovevano avere finalità politiche e non potevano esercitare il diritto di sciopero, l’arma più potente in mano agli operai.
Il Cartismo
Il Cartismo è un altro movimento politico operaio promosso da una nuova associazione, la Working Man’s Association, nel 1836. Anche se venne sconfitto, fu importante perché promosse una Carta con sei rivendicazioni:
1. Suffragio universale maschile
2. Elezioni annuali
3. Segretezza del voto
4. Possibilità di essere eletti deputati anche senza censo
5. Stipendio ai deputati
6. Eguaglianza dei collegi elettorali.
Suffragio e condizioni economiche
Non stupiscano queste richieste, tese ad ampliare il meccanismo del suffragio: la necessità delle associazioni operaie di imporre le proprie rivendicazioni, imponeva una lotta a favore di un sistema rappresentativo più democratico. I cartisti volevano mettere in condizione qualsiasi cittadino di partecipare all’attività parlamentare, per evitare che i deputati fossero solo individui appartenenti alla classe politica dominante. Era l’unico modo affinché nel corpus legislativo potessero essere previste leggi favorevoli agli operai.
I primi interventi giuridici
Col riconoscimento delle forme di associazionismo operaio, vi furono anche i primi tentativi di correggere alcune iniquità nell’organizzazione del lavoro, in particolare quelle riguardanti le donne e i fanciulli. Queste sono le date più significative:
1831
in Inghilterra è vietata l’assunzione nelle fabbriche dei bambini inferiori ai nove anni e il lavoro notturno alle persone di età inferiore ai 18 anni
1841
è vietato l’impiego dei bambini inferiori agli otto anni e per i bambini inferiori ai 12 anni la giornata lavorativa non può superare le 12 ore
1844
riduzione della giornata lavorativa a sei ore e mezza per i bambini e le donne e a 12 ore per gli adulti
1847
riduzione della giornata lavorativa a 10 ore
DOMANDE
1) Descrivi le caratteristiche di classe del proletariato.
2) Per quale motivo questa classe era facilmente ricattabile dai padroni delle fabbriche?
3) Illustra il dibattito storiografico relativo alla rivoluzione industriale.
4) Quali sarebbero, secondo gli “ottimisti”, i dati oggettivi che confermerebbero il progresso prodotto dalla rivoluzione industriale?
5) Come mai gli operai non si accorsero, secondo gli “ottimisti”, del miglioramento del loro reddito?
6) Illustra la tesi di Hosbswan e l’analisi di Munford.
7) Perché il lavoro artigianale dovette arrendersi alla concorrenza di quello industriale?
8) Chiarisci che cosa s’intende con “divisione del lavoro”.
9) Perché la divisione del lavoro implica una dequalificazione del lavoro stesso?
10) Quali vantaggi trae il capitalista dalla divisione del lavoro?
11) Quanto poteva durare la giornata lavorativa?
12) Riassumi i primi interventi di carattere giuridico -inizialmente contrari, poi parzialmente favorevoli agli operai- realizzati in Inghilterra.
13) Illustra le caratteristiche del luddismo.
14) Che cosa sono le Trade Unions? Quali erano i loro diritti?
15) Definisci il movimento cartista e illustrane le rivendicazioni.
5. LE CONSEGUENZE CULTURALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Liberalismo e socialismo
La rivoluzione industriale ha dato vita alle due più importanti concezioni politiche dell’occidente: il liberalismo e il socialismo. Già nel ‘700 si ebbero impostazioni intellettuali che avvicinarono personalità del tempo a tali convinzioni politico-filosofiche, ma solo dopo l’avvento della produzione industriale si crearono le condizioni economiche per una loro diffusione e affermazione nella totalità dell’ambiente culturale europeo. Liberalismo e socialismo segnarono -e in parte condizionano ancora- l’intera storia politica del XIX e XX secolo.
IL LIBERISMO ECONOMICO
Adam Smith e David Ricardo
I primi teorici del liberismo economico furono il filosofo ed economista inglese Adam Smith e l’economista David Ricardo. Con queste due personalità nacque la disciplina dell’economia politica, tesa a chiarire i criteri regolatori dell’economia capitalistica.
Opposizione al mercantilismo
Il liberismo economico si oppone alla vecchia dottrina mercantilista, affermatasi in Europa nel corso del XVII e XVIIII secolo; secondo questa teoria gli interessi dello Stato assolutistico coincidevano con gli interessi delle classi che producevano ricchezza, cioè i mercanti e gli imprenditori della vecchia industria manifatturiera.
Il ruolo dello Stato
Lo Stato doveva perciò svolgere una politica che appoggiasse gli interessi economici di queste classi: favorire le esportazioni dei prodotti, estendere i domini coloniali per creare nuovi mercati di vendita, tutelare il commercio interno proibendo l’importazione di prodotti dall’estero, quindi gravandoli di forti dazi.
La dottrina mercantilista è dannosa per gli imprenditori
Secondo Adam Smith questa politica è dannosa proprio per le classi che i fisiocratici vorrebbero proteggere. Secondo Smith -ma anche Ricardo- la ricchezza di un paese tanto più aumenta quanto più alle merci è consentito circolare da un paese all’altro senza inceppamenti di dazi e dogane.
Libertà per gli imprenditori
Agli imprenditori doveva essere lasciata dunque la massima libertà senza gli interventi dello Stato. La peggiore ingiustizia si sarebbe avuta se lo Stato fosse intervenuto a favore di una classe di cittadini rispetto a un’altra.
Imprenditore “nuovo”
Dal capolavoro di Adam Smith, Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, emerge la figura di un imprenditore nuovo, quale prima non era mai esistito, capace di far fruttare il capitale non in maniera speculativa, ma con investimenti produttivi oculati.
Rivalutazione dell’egoismo
La concezione liberista assegna un ruolo importante al sentimento dell’egoismo, inteso come ricerca del proprio benessere individuale, da ottenere attraverso il lavoro. L’egoismo diventa un sentimento positivo in quanto -coerentemente alla filosofia di Smith- è sempre equilibrato da altri stati emotivi.
Il ruolo del mercato
In un’ottica più economica, l’egoismo non sortisce effetti negativi, in quanto il contrapposi di diversi “egoismi” individuali, attraverso le leggi economiche del mercato e i meccanismi della concorrenza, produce un benessere generale.
DOMANDE
1) Riassumi i termini dell’opposizione, da parte dei teorici del liberismo, alla teoria fisiocratica.
2) Quali sono le condizioni, secondo Smith, che favoriscono le condizioni di una nazione?
3) Quale deve essere il comportamento conseguente dello Stato?
4) Descrivi la figura sociale dell’imprenditore auspicata da Smith.
5) Per quale motivo il perseguire i propri interessi, secondo Smith, favorisce comunque il benessere collettivo?
IL SOCIALISMO
I pensieri socialisti sono pienamente coscienti della positività del progresso industriale e non intendono ritornare al modo di produzione precedente, a differenza del luddismo. Ritengono però -con ipotesi e formulazioni differenti- si debbano rivedere le condizioni di lavoro e l’assetto proprietario dell’economia capitalista, che genera disuguaglianze sociali e condizioni di vita precarie per il proletariato.
Il socialismo utopistico
I pensatori socialisti di cui parleremo rientrano nella corrente del socialismo “utopistico”. Tale espressione fu coniata dai filosofi Karl Marx e Friedrich Engels, che intendevano in questo modo distinguere tali teorie dalla loro concezione “scientifica” del socialismo. L’errore degli utopisti sarebbe quello di proporre criteri irrealizzabili per superare le iniquità prodotte dal sistema capitalistico, senza tenere conto delle condizioni storiche concrete.
Robert Owen
Robert Owen fu contemporaneo alle sommosse dei luddisti e prese immediatamente posizione a favore dei lavoratori: si fece sostenitore di misure di protezione sul lavoro, di leggi sulla limitazione dell’orario di lavoro e di una politica di piena occupazione.
Il cooperativismo
Il cooperativismo, teorizzato da Owen, è una forma di associazione operaia che gestisce direttamente il processo produttivo e rappresenta una delle prime ipotesi di superamento del capitalismo. Owen stesso promosse in America delle industrie autogestite dagli operai; l’esperimento fallì in seguito alla concorrenza delle altre imprese capitaliste che, realizzando uno sfruttamento senza scrupoli, potevano immettere i loro manufatti ad un prezzo inferiore sul mercato.
Saint-Simon
Saint-Simon fu un sostenitore del progresso industriale, adatto a migliorare in modo considerevole la vita umana. Il nuovo modo di produzione aveva sostituito l’economia feudale, fondata sul sopruso, sulla valorizzazione dei più pigri, incapace di generare un benessere collettivo.
Gli “industriali”
La classe degli “industriali”(comprendente tutti coloro che partecipano al processo produttivo: imprenditori, operai, commercianti) doveva unire le proprie forze per opporsi alla vecchia classe aristocratico-feudale, eliminandone tutti i privilegi. Saint-Simon negava dunque il conflitto di interessi fra padroni e operai, che riteneva potesse definitivamente risolversi una volta che il sistema di produzione industriale si fosse universalmente affermato.
Charles Fourier
Anche Charles Fourier riteneva che l’industrialismo fosse in sé positivo, in quanto eliminava dalle abitudini dell’umanità quella inattività colpevole, che vive sulle spalle del lavoro e della sofferenza altrui. I vantaggi dell’industrialismo, che sono quelli di rendere la vita più comoda, non devono però essere appannaggio di una minoranza.
Rivalutazione del piacere
Secondo Fourier qualsiasi attività umana deve essere finalizzata al piacere e al benessere, in ogni campo dell’esperienza. Lo stesso lavoro deve essere gradevole e gli sforzi devono essere equamente suddivisi fra gli uomini. Egli condanna allora lo sfruttamento operaio in fabbrica e propone un modello produttivo alternativo, capace di coniugare progresso industriale e negazione dello sfruttamento.
Il “falansterio”
Il falansterio è una piccola comunità, nel quale ogni componente svolge un lavoro attraente. I lavori faticosi, pur necessari, vengono realizzati a turno e sono pagati in misura superiore agli altri. L’aumento della soddisfazione dei lavoratori avrebbe garantito un aumento della produttività.
Pierre-Joseph Proudhon
Proudhon fu il primo a definire la proprietà come un furto; tale atteggiamento radicale gli valse l’apprezzamento di Marx che successivamente, invece, ne contesterà pesantemente le tesi.
Proprietà e possesso
In realtà Proudhon distingueva fra possesso legittimo di beni di consumo e proprietà illegittima di beni dai quali dipendeva la prosperità di tutti. La proprietà doveva dunque essere garantita a tutti in misura limitata; di conseguenza, Proudhon auspicava una società di artigiani e piccoli imprenditori.
Il ruolo dello Stato
Lo Stato però, secondo Proudhon, non doveva diventare proprietario dei beni collettivi, ma doveva limitarsi a coordinare e regolare le diverse comunità autogestite. Al pensiero di Proudhon si richiama la tradizione politica dell’anarchismo.
DOMANDE
1) Quale posizione assumono le ideologie socialiste nei confronti della rivoluzione industriale?
2) Per quale motivo le teorie socialiste delle origini sono definite utopistiche?
3) Esponi le posizioni di Robert Owen e definisci il cooperativismo.
4) Descrivi le caratteristiche della classe degli “industriali”, teorizzata da Saint-Simon.
5) Sottolinea l’importanza del concetto di piacere nel pensiero di Fourier.
6) Che cos’è il falansterio?
7) Come interpreti la critica radicale di Proudhon alla proprietà privata?
8) Distingui, in Proudhon, fra proprietà e possesso.
9) Quale dev’essere il ruolo dello Stato in Proudhon?>
Definizione
L’espressione rivoluzione industriale indica il passaggio da un sistema economico basato prevalentemente sull’agricoltura e sul commercio, a uno fondato sullo sviluppo della grande industria manifatturiera, avvenuto in Inghilterra fra il XVIII e XIX secolo e, successivamente, nel resto d’Europa.
Il concetto di “rivoluzione”
Il termine rivoluzione è utilizzato in senso metaforico. Il concetto di rivoluzione, infatti, presuppone un sovvertimento delle istituzioni repentino e violento che, in breve tempo, sconvolge l’intera struttura sociale e ha, come conseguenza, un radicale cambiamento delle mentalità e dei costumi.
Perché “rivoluzione”?
La rivoluzione industriale si produsse nell’arco di decenni e, di conseguenza, non fu una rivoluzione. Si può però utilizzare tale concetto, in quanto le trasformazioni prodotte dalla produzione industriale interessarono non solo l’ambito economico, ma investirono in maniera più complessiva la realtà: le strutture sociali, gli avvenimenti politici e, più ampiamente, gli stessi valori morali e culturali della civiltà europea.
Studiare la rivoluzione industriale
Non è sufficiente allora, nell’esaminare tale argomento, limitarsi alle descrizioni delle innovazioni tecnologiche che mutarono il processo produttivo. E’ necessario considerare, nel contempo, le conseguenze sociali dovute alla produzione industriale, sia nel luogo di lavoro sia nella vita pubblica; le espressioni culturali che, in chiave apologetica o critica, sono nate in seguito ai nuovi criteri di produzione; infine, le iniziative di ordine giuridico che hanno preso atto, e quindi regolamentato, il nuovo modo di esercitare l’attività lavorativa.
DOMANDE
1) Definisci la rivoluzione industriale
2) Spiega l’utilizzo del concetto di rivoluzione nell’indicazione di un fenomeno prodottosi nel corso di diversi decenni.
1. PERCHE’ IN INGHILTERRA?Cronologia
La prima rivoluzione produttiva si realizza verso la fine del XVIII secolo, in particolare nel settore tessile. Questo nuovo processo economico si sviluppò spontaneamente e il fatto che sorse in Inghilterra non fu casuale.
Modificazione dell’economia agricola
In Inghilterra il feudalesimo era finito da tempo e la stessa classe nobile e proprietaria aveva acquistato un atteggiamento interessato allo sfruttamento economico della terra; furono migliorate le tecniche di coltivazione e razionalizzato il lavoro delle campagne. Aumentò di conseguenza la produttività agricola e la disponibilità di beni alimentari per il mercato.
Gli enclosures act
L’interesse per il valore economico della terra portò alla cessazione del fenomeno delle terre demaniali. Erano questi appezzamenti di terra pubblici, che venivano sfruttati da contadini non proprietari per il pascolo comune e che davano loro la possibilità di sostentamento. Tali terre, attraverso ripetuti decreti, vennero recintate e divennero proprietà privata, lasciando senza sostentamento un gran numero di persone.
Intensificazione delle recinzioni
Il fenomeno delle recinzioni era in atto dalla fine del medioevo, ma solo in questi anni assume un’intensità considerevole, attraverso l’applicazione di appositi provvedimenti legislativi che, in pochi anni, privatizzarono tutte le terre comuni.
I disoccupati e le città
Il fenomeno delle recinzioni tolse a buona parte della popolazione i mezzi di sostentamento. Si formò così una massa di disoccupati che si riversò sulle città, creando problemi anche di ordine pubblico. Questa massa di persone andrà a costituire i futuri lavoratori salariati delle industrie.
Muta la condizione dei contadini
Lo sfruttamento capitalista della terra mutò anche la condizione dei contadini. Sino ad allora ai contadini veniva assegnata parte della proprietà padronale; una volta consegnata la quota di prodotto stabilita, erano liberi di lavorarla a piacimento. Il padrone invece, è ora interessato a uno sfruttamento massimo in tutta la superficie delle sue proprietà e vuole controllare direttamente i lavoratori.
Il contadino salariato
Il contadino venne allora stipendiato in base al tempo di lavoro e diventò così un lavoratore salariato. La condizione del contadino in questo modo peggiorò e numerosi furono i lavoratori della terra costretti ad abbandonare le campagne e a incrementare la massa dei disoccupati urbani.
Le prime forme di industrializzazione sono sempre collegate all’economia agricola
Le prime attività industriali riguardarono il settore tessile, che era strettamente legato all’attività agricola. Fu infatti l’avvenuto aumento di produzione, dovuto all’intensificazione dello sfruttamento della terra, che favorì la progettazione di sistemi di lavoro e portarono a un più veloce sfruttamento della gran quantità di prodotto tessile.
L’importanza delle colonie
Un’altra ragione del primato inglese era dovuta al possesso delle colonie e all’attività della Compagnia delle Indie centrali. Il monopolio inglese del commercio mondiale era pressoché assoluto. Il commercio del cotone raggiunse nel 1850 la metà delle esportazioni inglesi, occupando 1.500.000 lavoratori.
DOMANDE
1) In quale settore economico si manifesta, per la prima volta, il metodo di produzione industriale?
2) Riepiloga i motivi che favorirono lo sviluppo dell’industria in Inghilterra.
3) Indica le principali trasformazioni che interessarono la produzione agricola in Inghilterra.
4) Precisa l’importanza dei provvedimenti di enclouseres.
5) Quali conseguenze portò l’aumento della disoccupazione?
6) A quali diverse condizioni dovettero sottostare i contadini?
7) Per quale motivi il primo settore in cui si sviluppò l’industrialismo era fortemente legato all’agricoltura?
8) Precisa l’importanza che ebbe per l’Inghilterra il possesso delle colonie.
2. LE INNOVAZIONI TECNICHE
La caratteristica del lavoro di fabbrica, che sostituì quello artigianale, fu la meccanizzazione del lavoro, ossia l’impiego di macchine che automatizzavano tecniche fino a quel momento manuali.
Sviluppo tecnologico e modo di produzione
Vi fu un condizionamento reciproco fra sviluppo tecnologico e mutamento della produzione: da una parte la grande quantità di materie prime, proveniente dalle colonie, necessitava, per trarre maggiori profitti, di un sistema di produzione più moderno. D’altra parte, proprio le innovazioni tecniche portarono ad un intensificarsi dello sfruttamento coloniale e ad un aumento continuo della produzione.
La meccanizzazione del lavoro
Le prime innovazione, nel campo della lavorazione tessile, si ebbero già nel corso del ‘700: nel 1733 John Kay invento la spoletta volante, che raddoppiò la capacità produttiva dei telai; nel 1764 James Hargreaves invento la spinning Jenny, una macchina filatrice che utilizzava la spoletta automatica; nel 1785 fu introdotto, da parte di Edmond Cartwright, il telaio automatico, mentre, qualche anno più avanti, la cotton gin permetteva di separare automaticamente la fibra del cotone dal seme.
La forza motrice
Fondamentale fu anche l’introduzione di una nuova e più efficace forza motrice. All’inizio si ricorreva all’energia idraulica e, quindi, quasi tutte le fabbriche erano situate nelle vicinanze di un fiume o di un lago. Con l’introduzione della macchina a vapore, inventata da James Watt nel 1780, si introdusse questa nuova forza motrice universale, che permise alle fabbriche di situarsi nelle vicinanze della città.
L’industria siderurgica
La siderurgia si sviluppò più tardi e contraddistinse la seconda fase della rivoluzione industriale [cfr. cap.9, pp.1-3]. La necessità di più numerose macchine per l’industria tessile portò alla produzione sempre maggiore di ferro greggio e alla sua lavorazione.
DATE
1733 John Kay inventa la spoletta volante
1764 James Hargreaves inventa la spinning Jenny
1775 James Watt inventa la macchina a vapore
1785 Edmond Cartwright introduce il telaio automatico
DOMANDE
1) Quali furono le principali innovazioni tecnologiche, che riguardarono la lavorazione tessile nel XVIII secolo?
2) La meccanizzazione del lavoro precedette l’utilizzo di nuove fonti d’energia?
3) Quali forze motrici facilitarono lo sviluppo industriale?
4) Indica quando si sviluppo l’industria siderurgica?
5) Per quale motivo lo sviluppo della siderurgia fu conseguente a quello tessile?
3. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI
Ancora sull’Inghilterra
In Inghilterra, come abbiamo visto, la rivoluzione industriale fu un processo spontaneo e fu favorito dal carattere dinamico della classe proprietaria e da un prevalere della borghesia a livello economico.
Gli altri Stati
Negli altri Stati, invece, la produzione industriale venne introdotta in maniera più cauta, in quanto le classi egemoni temevano che il nuovo modello produttivo potesse mettere in discussione i loro consolidati poteri. Si volevano avere i vantaggi dell’industrializzazione, senza sconvolgere l’assetto tradizionale della società.
La Prussia
In Prussia il potere era in mano alla classe dei proprietari terrieri, gli Junker. Questi promossero una capitalizzazione delle campagne, senza tuttavia modificare i rapporti di potere, di natura oligarchica.
Lo Zollverein
L’iniziativa più rilevante fu lo Zollverein, ossia l’abolizione delle dogane all’interno di tutta la Confederazione germanica, che permetteva un maggiore commercio e favoriva una spinta produttiva.
Inizio ‘800
All’inizio del secolo l’unica industria avanzata era quella tessile, mentre scarsa era ancora la produzione del ferro e del carbone che avrebbe, in avvenire, costituito la ricchezza dell’economia tedesca.
L’Austria
L’Austria, coerentemente al ruolo di protagonista nella politica della Restaurazione [cfr. cap.2], si dimostrò, all’inizio del secolo, particolarmente ostile all’industrializzazione, timorosa che potesse mettere in discussione la gerarchia tradizionale fra le classi sociali.
Francesco I
Addirittura l’Imperatore Francesco I pose ilo veto alla costruzione di fabbriche. Tale situazione si modificò dopo il 1848 [vd.].
La Francia
La Francia vantava, già all’inizio della Rivoluzione francese, alcune industrie all’avanguardia in Europa (in particolare le telerie di Lione).
I contadini
La rivoluzione aveva dato alcuni privilegi alla classe contadina, che aveva partecipato attivamente alle insurrezioni. Questa situazione non poteva garantire un’accumulazione produttiva pari a quella inglese; pure la Francia entrò immediatamente tra le grandi potenze industriali e il suo ruolo si intensificò potentemente dopo il 1848 [cfr. cap.7].
Gli altri Paesi
Incrementi industriali si ebbero pure in Olanda, Belgio e Italia settentrionale. Regioni sottosviluppate rimasero invece l’Italia meridionale e l’Irlanda, dove infatti si verificò il fenomeno dell’emigrazione.
L’Italia meridionale
Nel sud dell’Italia si ebbe una politica di parziale defeudalizzazione, con un, sia pure cauto, allentamento dei rapporti di dipendenza. Pure questo processo favorì sempre i grandi baroni, che non riuscirono a modernizzare la produzione.
L’Irlanda
L’Irlanda vedeva invece impedita dall’esterno una modificazione dei rapporti sociali. L’Inghilterra, così sviluppata al suo interno, negava a tale territorio, a lei sottomesso, qualsiasi possibilità di sviluppo. Dal punto di vista sociale, rimase pesante la distinzione sociale fra cittadini protestanti e cattolici; da quello economico, unica risorsa dell’Irlanda era la coltivazione della patata.
DOMANDE
1) Precisa il differente svilupparsi della produzione industriale fra l’Inghilterra e gli altri paesi europei.
2) Per quale motivo gli altri Stati erano più cauti nel favorire, in una direzione industriale, una modificazione della produzione?
3) Chiarisci come i Junker, in Prussia, siano riusciti modificare l’assetto produttivo senza mettere in discussione il loro potere.
4) Che cos’è lo Zollverein?
5) Come mutò l’economia tedesca nella prima e nella secondai metà del XIX secolo?
6) Indica la posizione dell’Austria nei confronti della produzione industriale.
7) Precisa le differenze fra la situazione contadina in Francia e in Inghilterra.
8) Indica le cause dell’arretratezza in Italia meridionale.
9) …e in Irlanda?
4. LE CONSEGUENZE SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Il nuovo modello di produzione modificò profondamente la vita di moltissime persone e, in particolare, di quella gran massa di uomini disoccupati in seguito alla politica delle enclousures, che si trasformarono in operai salariati.
Il proletariato
Si formò una nuova classe sociale: il proletariato. Con quest’espressione s’intende quella classe d’individui che non possedeva alcuna risorsa esterna per poter sopravvivere (neanche le terre demaniali) e che poteva sfruttare unicamente la sua forza-lavoro. Tali lavoratori vendevano a un proprietario tale forza lavoro e ne ricevevano un salario. Il gran numero di proletari rendeva però ciascuno di essi ricattabile dal datore di lavoro e costretto ad accettare condizioni particolarmente sfavorevoli.
Peggioramento delle condizioni di vita
Le condizioni di vita delle classi più deboli peggiorarono, sia per quanto riguarda il lavoro in fabbrica sia per la qualità della vita all’interno dell’agglomerato urbano. Numerose furono le inchieste organizzate dal governo britannico che testimoniano le situazioni d’indigenza delle classi salariate e dei disoccupati.
Il dibattito storiografico
Questa negativa situazione sociale ha condotto un numero considerevole di storici a negare le capacità della rivoluzione industriale di produrre miglioramenti nelle condizioni di vita delle masse. I miglioramenti riguarderebbero solo una parte della popolazione, quella agiata, che poteva partecipare alla distribuzione della nuova ricchezza prodotta e quindi rendere più comoda, in maniera sensibile, la propria vita.
Una tesi alternativa
Un altro gruppo di storici, però, ritiene errata questa interpretazione e sottolinea come il nuovo sistema di produzione, al di là di alcuni scompensi iniziali, abbia comportato indubbi progressi di cui ha beneficiato l’intera società.
Conseguenze positive della rivoluzione industriale
Secondo questi ultimi storici, i fattori che dimostrano il miglioramento oggettivo apportato dall’industrializzazione sono: la scomparsa delle crisi demografiche di vecchio tipo; il miglioramento della situazione alimentare; le probabilità di vita che aumentarono progressivamente in quasi o tutti i paesi d’Europa; l’aumento dei redditi reali che consentì un miglioramento nel vitto e nel vestiario; maggiore igiene negli ambienti urbani.
IL DIBATTITO STORIOGRAFICOOttimisti e pessimisti
Possiamo considerare due gruppi di storici della rivoluzione industriale: i pessimisti, che sottolineano il peggioramento del livello di vita dei lavoratori, e gli ottimisti i quali, al contrario, ritengono che, ad una corretta lettura dei dati, non si possa negare una tendenza all’aumento generale del tenore di vita.
Anche i lavoratori migliorano
Secondo gli “ottimisti” il reddito pro capite aumentò anche per i lavoratori, pur non consentendo loro che un livello di vita estremamente misero. Fu la sempre maggiore coscienza politica dei lavoratori e le loro aspirazioni frustrate, che li condussero a sottolineare con maggiore forza la loro povertà e a non rendersi conto del miglioramento, comunque realizzatosi, del loro tenore di vita.
I nomi
Fra gli “ottimisti” possiamo ricordare gli storici R.M.Hartwell e Maxwell; fra i “pessimisti” E.Hobsbwan e L.Munford.
Le conquiste operaie
Secondo Hobsbwan non si può in effetti negare il miglioramento progressivo delle condizioni di vita in Europa nel corso del XIX secolo, solo che queste non sono una conseguenza esclusiva del nuovo modo di produzione ma delle lotte e delle conquiste ottenute dal movimento operaio.
Lewis Munford
Munford ha dedicato la maggiorparte dei suoi sforzi intellettuali alla ricostruzione delle condizioni di vita proletarie nella città industriale: la crudezza delle situazioni descritte lo ha condotto a negare qualsiasi validità, almeno nei tempi immediati, all’interpretazione “ottimistica” della rivoluzione industriale.
Le condizioni di lavoro in fabbrica
Fine del lavoro artigianale
Con l’avvento della produzione industriale scomparve la tradizione del lavoro artigiano, incapace di fronteggiare la concorrenza di una produzione di serie. L’artigiano impiegava infatti troppo tempo nel dare origine a un prodotto finito, mentre in fabbrica lo stesso prodotto poteva essere realizzato in quantità giornaliere molto superiori, riducendo i costi.
La divisione del lavoro
L’aspetto più originale del lavoro di fabbrica fu la divisione del lavoro: la produzione veniva suddivisa in diverse fasi e gli operai, formando una catena di montaggio, si dedicavano a una sola di queste fasi, per lo più coadiuvando l’attività della macchina.
Semplificazione del lavoro
Il lavoro risultò molto più semplificato e monotono, riducendosi l’attività dell’operaio a pochi gesti identici da ripetersi lungo tutta la giornata lavorativa. Si ebbe così una dequalificazione del lavoro in quanto, per svolgere le mansioni dovute, non fu necessaria alcuna competenza specifica.
Vantaggi per il datore di lavoro
Tale dequalificazione fu vantaggiosa per il datore di lavoro, la cui unica preoccupazione era di risparmiare sul processo produttivo, in modo da poter produrre a costi minori e battere la concorrenza. Non essendoci più manodopera specializzata, il capitalista si ritrovò una grande offerta di lavoro e poté scegliere imponendo pesanti condizioni contrattuali. L’operaio si vide costretto ad accettare condizioni di lavoro particolarmente faticose e con scarsa retribuzione.
Le donne e i fanciulli
I datori di lavoro poterono assumere in grande quantità donne e fanciulli, che erano in grado di svolgere con eguale abilità le semplici mansioni richieste all’operaio. Donne e fanciulli, a parità di tempo di lavoro impiegato, venivano pagati molto meno rispetto a operai maschi adulti.
La giornata lavorativa
Il capitalista cercava di sfruttare al massimo la forza lavoro a lui sottoposta, anche quando si trattava di donne e fanciulli. La giornata lavorativa poteva andare dalle 12 alle 16 ore, prevedendo anche un ciclo produttivo continuo e, quindi, orari notturni.
La resistenza operaia e le prime misure legislativeAppoggio del Parlamento inglese agli industriali
In un primo tempo il Parlamento inglese, pur proclamandosi neutrale nei confronti dei diversi modi di produzione, favorì in realtà capitalisti industriali. Un’inchiesta del 1806 proclamò la complementarità del modo di produzione artigianale e industriale e ritenne superfluo ogni intervento per regolare la concorrenza. In questo modo il parlamento tolse qualsiasi possibilità di sopravvivenza alle cooperative artigiane.
Combinactions Act
Il Parlamento, oltre a riconoscere l’assoluta libertà dei produttori vietava, nel contempo, qualsiasi forma di associazionismo operaio, attraverso il Combinactions Act. Le rivolte e le manifestazioni ebbero tutte allora un carattere illegale e si conclusero spesso con dei massacri, come a Pentridge, nel 1817 e a Paterloo nel 1820.
Il luddismo
Una prima forma di opposizione operaia, totalmente illegale, fu il movimento luddista (dal nome dell’operaio che fondò il movimento, Ned Lud). I luddisti propagandavano la distruzione delle macchine, simbolo dello sfruttamento operaio; i loro gesti potevano essere puniti addirittura con la pena di morte.
Il rifiuto dell’industrialismo
Il luddismo rappresenta una forma di protesta contraria alla produzione industriale, che desiderava un ritorno a modalità produttive artigianali. Diversa quindi da altre forme di pensiero operaio [vd. avanti] dove non si rifiuterà l’industrialismo ma solo la distinzione di classe fra proprietari e salariati.
Riconoscimento dell’associazionismo operaio
Nel 1825, sull’onda dello sdegno di alcuni massacri perpetrati dalla polizia, il Parlamento riconobbe il diritto degli operai ad associarsi e nacquero le Trade Unions. Queste, però, non dovevano avere finalità politiche e non potevano esercitare il diritto di sciopero, l’arma più potente in mano agli operai.
Il Cartismo
Il Cartismo è un altro movimento politico operaio promosso da una nuova associazione, la Working Man’s Association, nel 1836. Anche se venne sconfitto, fu importante perché promosse una Carta con sei rivendicazioni:
1. Suffragio universale maschile
2. Elezioni annuali
3. Segretezza del voto
4. Possibilità di essere eletti deputati anche senza censo
5. Stipendio ai deputati
6. Eguaglianza dei collegi elettorali.
Suffragio e condizioni economiche
Non stupiscano queste richieste, tese ad ampliare il meccanismo del suffragio: la necessità delle associazioni operaie di imporre le proprie rivendicazioni, imponeva una lotta a favore di un sistema rappresentativo più democratico. I cartisti volevano mettere in condizione qualsiasi cittadino di partecipare all’attività parlamentare, per evitare che i deputati fossero solo individui appartenenti alla classe politica dominante. Era l’unico modo affinché nel corpus legislativo potessero essere previste leggi favorevoli agli operai.
I primi interventi giuridici
Col riconoscimento delle forme di associazionismo operaio, vi furono anche i primi tentativi di correggere alcune iniquità nell’organizzazione del lavoro, in particolare quelle riguardanti le donne e i fanciulli. Queste sono le date più significative:
1831
in Inghilterra è vietata l’assunzione nelle fabbriche dei bambini inferiori ai nove anni e il lavoro notturno alle persone di età inferiore ai 18 anni
1841
è vietato l’impiego dei bambini inferiori agli otto anni e per i bambini inferiori ai 12 anni la giornata lavorativa non può superare le 12 ore
1844
riduzione della giornata lavorativa a sei ore e mezza per i bambini e le donne e a 12 ore per gli adulti
1847
riduzione della giornata lavorativa a 10 ore
DOMANDE
1) Descrivi le caratteristiche di classe del proletariato.
2) Per quale motivo questa classe era facilmente ricattabile dai padroni delle fabbriche?
3) Illustra il dibattito storiografico relativo alla rivoluzione industriale.
4) Quali sarebbero, secondo gli “ottimisti”, i dati oggettivi che confermerebbero il progresso prodotto dalla rivoluzione industriale?
5) Come mai gli operai non si accorsero, secondo gli “ottimisti”, del miglioramento del loro reddito?
6) Illustra la tesi di Hosbswan e l’analisi di Munford.
7) Perché il lavoro artigianale dovette arrendersi alla concorrenza di quello industriale?
8) Chiarisci che cosa s’intende con “divisione del lavoro”.
9) Perché la divisione del lavoro implica una dequalificazione del lavoro stesso?
10) Quali vantaggi trae il capitalista dalla divisione del lavoro?
11) Quanto poteva durare la giornata lavorativa?
12) Riassumi i primi interventi di carattere giuridico -inizialmente contrari, poi parzialmente favorevoli agli operai- realizzati in Inghilterra.
13) Illustra le caratteristiche del luddismo.
14) Che cosa sono le Trade Unions? Quali erano i loro diritti?
15) Definisci il movimento cartista e illustrane le rivendicazioni.
5. LE CONSEGUENZE CULTURALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Liberalismo e socialismo
La rivoluzione industriale ha dato vita alle due più importanti concezioni politiche dell’occidente: il liberalismo e il socialismo. Già nel ‘700 si ebbero impostazioni intellettuali che avvicinarono personalità del tempo a tali convinzioni politico-filosofiche, ma solo dopo l’avvento della produzione industriale si crearono le condizioni economiche per una loro diffusione e affermazione nella totalità dell’ambiente culturale europeo. Liberalismo e socialismo segnarono -e in parte condizionano ancora- l’intera storia politica del XIX e XX secolo.
IL LIBERISMO ECONOMICO
Adam Smith e David Ricardo
I primi teorici del liberismo economico furono il filosofo ed economista inglese Adam Smith e l’economista David Ricardo. Con queste due personalità nacque la disciplina dell’economia politica, tesa a chiarire i criteri regolatori dell’economia capitalistica.
Opposizione al mercantilismo
Il liberismo economico si oppone alla vecchia dottrina mercantilista, affermatasi in Europa nel corso del XVII e XVIIII secolo; secondo questa teoria gli interessi dello Stato assolutistico coincidevano con gli interessi delle classi che producevano ricchezza, cioè i mercanti e gli imprenditori della vecchia industria manifatturiera.
Il ruolo dello Stato
Lo Stato doveva perciò svolgere una politica che appoggiasse gli interessi economici di queste classi: favorire le esportazioni dei prodotti, estendere i domini coloniali per creare nuovi mercati di vendita, tutelare il commercio interno proibendo l’importazione di prodotti dall’estero, quindi gravandoli di forti dazi.
La dottrina mercantilista è dannosa per gli imprenditori
Secondo Adam Smith questa politica è dannosa proprio per le classi che i fisiocratici vorrebbero proteggere. Secondo Smith -ma anche Ricardo- la ricchezza di un paese tanto più aumenta quanto più alle merci è consentito circolare da un paese all’altro senza inceppamenti di dazi e dogane.
Libertà per gli imprenditori
Agli imprenditori doveva essere lasciata dunque la massima libertà senza gli interventi dello Stato. La peggiore ingiustizia si sarebbe avuta se lo Stato fosse intervenuto a favore di una classe di cittadini rispetto a un’altra.
Imprenditore “nuovo”
Dal capolavoro di Adam Smith, Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, emerge la figura di un imprenditore nuovo, quale prima non era mai esistito, capace di far fruttare il capitale non in maniera speculativa, ma con investimenti produttivi oculati.
Rivalutazione dell’egoismo
La concezione liberista assegna un ruolo importante al sentimento dell’egoismo, inteso come ricerca del proprio benessere individuale, da ottenere attraverso il lavoro. L’egoismo diventa un sentimento positivo in quanto -coerentemente alla filosofia di Smith- è sempre equilibrato da altri stati emotivi.
Il ruolo del mercato
In un’ottica più economica, l’egoismo non sortisce effetti negativi, in quanto il contrapposi di diversi “egoismi” individuali, attraverso le leggi economiche del mercato e i meccanismi della concorrenza, produce un benessere generale.
DOMANDE
1) Riassumi i termini dell’opposizione, da parte dei teorici del liberismo, alla teoria fisiocratica.
2) Quali sono le condizioni, secondo Smith, che favoriscono le condizioni di una nazione?
3) Quale deve essere il comportamento conseguente dello Stato?
4) Descrivi la figura sociale dell’imprenditore auspicata da Smith.
5) Per quale motivo il perseguire i propri interessi, secondo Smith, favorisce comunque il benessere collettivo?
IL SOCIALISMO
I pensieri socialisti sono pienamente coscienti della positività del progresso industriale e non intendono ritornare al modo di produzione precedente, a differenza del luddismo. Ritengono però -con ipotesi e formulazioni differenti- si debbano rivedere le condizioni di lavoro e l’assetto proprietario dell’economia capitalista, che genera disuguaglianze sociali e condizioni di vita precarie per il proletariato.
Il socialismo utopistico
I pensatori socialisti di cui parleremo rientrano nella corrente del socialismo “utopistico”. Tale espressione fu coniata dai filosofi Karl Marx e Friedrich Engels, che intendevano in questo modo distinguere tali teorie dalla loro concezione “scientifica” del socialismo. L’errore degli utopisti sarebbe quello di proporre criteri irrealizzabili per superare le iniquità prodotte dal sistema capitalistico, senza tenere conto delle condizioni storiche concrete.
Robert Owen
Robert Owen fu contemporaneo alle sommosse dei luddisti e prese immediatamente posizione a favore dei lavoratori: si fece sostenitore di misure di protezione sul lavoro, di leggi sulla limitazione dell’orario di lavoro e di una politica di piena occupazione.
Il cooperativismo
Il cooperativismo, teorizzato da Owen, è una forma di associazione operaia che gestisce direttamente il processo produttivo e rappresenta una delle prime ipotesi di superamento del capitalismo. Owen stesso promosse in America delle industrie autogestite dagli operai; l’esperimento fallì in seguito alla concorrenza delle altre imprese capitaliste che, realizzando uno sfruttamento senza scrupoli, potevano immettere i loro manufatti ad un prezzo inferiore sul mercato.
Saint-Simon
Saint-Simon fu un sostenitore del progresso industriale, adatto a migliorare in modo considerevole la vita umana. Il nuovo modo di produzione aveva sostituito l’economia feudale, fondata sul sopruso, sulla valorizzazione dei più pigri, incapace di generare un benessere collettivo.
Gli “industriali”
La classe degli “industriali”(comprendente tutti coloro che partecipano al processo produttivo: imprenditori, operai, commercianti) doveva unire le proprie forze per opporsi alla vecchia classe aristocratico-feudale, eliminandone tutti i privilegi. Saint-Simon negava dunque il conflitto di interessi fra padroni e operai, che riteneva potesse definitivamente risolversi una volta che il sistema di produzione industriale si fosse universalmente affermato.
Charles Fourier
Anche Charles Fourier riteneva che l’industrialismo fosse in sé positivo, in quanto eliminava dalle abitudini dell’umanità quella inattività colpevole, che vive sulle spalle del lavoro e della sofferenza altrui. I vantaggi dell’industrialismo, che sono quelli di rendere la vita più comoda, non devono però essere appannaggio di una minoranza.
Rivalutazione del piacere
Secondo Fourier qualsiasi attività umana deve essere finalizzata al piacere e al benessere, in ogni campo dell’esperienza. Lo stesso lavoro deve essere gradevole e gli sforzi devono essere equamente suddivisi fra gli uomini. Egli condanna allora lo sfruttamento operaio in fabbrica e propone un modello produttivo alternativo, capace di coniugare progresso industriale e negazione dello sfruttamento.
Il “falansterio”
Il falansterio è una piccola comunità, nel quale ogni componente svolge un lavoro attraente. I lavori faticosi, pur necessari, vengono realizzati a turno e sono pagati in misura superiore agli altri. L’aumento della soddisfazione dei lavoratori avrebbe garantito un aumento della produttività.
Pierre-Joseph Proudhon
Proudhon fu il primo a definire la proprietà come un furto; tale atteggiamento radicale gli valse l’apprezzamento di Marx che successivamente, invece, ne contesterà pesantemente le tesi.
Proprietà e possesso
In realtà Proudhon distingueva fra possesso legittimo di beni di consumo e proprietà illegittima di beni dai quali dipendeva la prosperità di tutti. La proprietà doveva dunque essere garantita a tutti in misura limitata; di conseguenza, Proudhon auspicava una società di artigiani e piccoli imprenditori.
Il ruolo dello Stato
Lo Stato però, secondo Proudhon, non doveva diventare proprietario dei beni collettivi, ma doveva limitarsi a coordinare e regolare le diverse comunità autogestite. Al pensiero di Proudhon si richiama la tradizione politica dell’anarchismo.
DOMANDE
1) Quale posizione assumono le ideologie socialiste nei confronti della rivoluzione industriale?
2) Per quale motivo le teorie socialiste delle origini sono definite utopistiche?
3) Esponi le posizioni di Robert Owen e definisci il cooperativismo.
4) Descrivi le caratteristiche della classe degli “industriali”, teorizzata da Saint-Simon.
5) Sottolinea l’importanza del concetto di piacere nel pensiero di Fourier.
6) Che cos’è il falansterio?
7) Come interpreti la critica radicale di Proudhon alla proprietà privata?
8) Distingui, in Proudhon, fra proprietà e possesso.
9) Quale dev’essere il ruolo dello Stato in Proudhon?>
Cronologia
La prima rivoluzione produttiva si realizza verso la fine del XVIII secolo, in particolare nel settore tessile. Questo nuovo processo economico si sviluppò spontaneamente e il fatto che sorse in Inghilterra non fu casuale.
Modificazione dell’economia agricola
In Inghilterra il feudalesimo era finito da tempo e la stessa classe nobile e proprietaria aveva acquistato un atteggiamento interessato allo sfruttamento economico della terra; furono migliorate le tecniche di coltivazione e razionalizzato il lavoro delle campagne. Aumentò di conseguenza la produttività agricola e la disponibilità di beni alimentari per il mercato.
Gli enclosures act
L’interesse per il valore economico della terra portò alla cessazione del fenomeno delle terre demaniali. Erano questi appezzamenti di terra pubblici, che venivano sfruttati da contadini non proprietari per il pascolo comune e che davano loro la possibilità di sostentamento. Tali terre, attraverso ripetuti decreti, vennero recintate e divennero proprietà privata, lasciando senza sostentamento un gran numero di persone.
Intensificazione delle recinzioni
Il fenomeno delle recinzioni era in atto dalla fine del medioevo, ma solo in questi anni assume un’intensità considerevole, attraverso l’applicazione di appositi provvedimenti legislativi che, in pochi anni, privatizzarono tutte le terre comuni.
I disoccupati e le città
Il fenomeno delle recinzioni tolse a buona parte della popolazione i mezzi di sostentamento. Si formò così una massa di disoccupati che si riversò sulle città, creando problemi anche di ordine pubblico. Questa massa di persone andrà a costituire i futuri lavoratori salariati delle industrie.
Muta la condizione dei contadini
Lo sfruttamento capitalista della terra mutò anche la condizione dei contadini. Sino ad allora ai contadini veniva assegnata parte della proprietà padronale; una volta consegnata la quota di prodotto stabilita, erano liberi di lavorarla a piacimento. Il padrone invece, è ora interessato a uno sfruttamento massimo in tutta la superficie delle sue proprietà e vuole controllare direttamente i lavoratori.
Il contadino salariato
Il contadino venne allora stipendiato in base al tempo di lavoro e diventò così un lavoratore salariato. La condizione del contadino in questo modo peggiorò e numerosi furono i lavoratori della terra costretti ad abbandonare le campagne e a incrementare la massa dei disoccupati urbani.
Le prime forme di industrializzazione sono sempre collegate all’economia agricola
Le prime attività industriali riguardarono il settore tessile, che era strettamente legato all’attività agricola. Fu infatti l’avvenuto aumento di produzione, dovuto all’intensificazione dello sfruttamento della terra, che favorì la progettazione di sistemi di lavoro e portarono a un più veloce sfruttamento della gran quantità di prodotto tessile.
L’importanza delle colonie
Un’altra ragione del primato inglese era dovuta al possesso delle colonie e all’attività della Compagnia delle Indie centrali. Il monopolio inglese del commercio mondiale era pressoché assoluto. Il commercio del cotone raggiunse nel 1850 la metà delle esportazioni inglesi, occupando 1.500.000 lavoratori.
DOMANDE
1) In quale settore economico si manifesta, per la prima volta, il metodo di produzione industriale?
2) Riepiloga i motivi che favorirono lo sviluppo dell’industria in Inghilterra.
3) Indica le principali trasformazioni che interessarono la produzione agricola in Inghilterra.
4) Precisa l’importanza dei provvedimenti di enclouseres.
5) Quali conseguenze portò l’aumento della disoccupazione?
6) A quali diverse condizioni dovettero sottostare i contadini?
7) Per quale motivi il primo settore in cui si sviluppò l’industrialismo era fortemente legato all’agricoltura?
8) Precisa l’importanza che ebbe per l’Inghilterra il possesso delle colonie.
2. LE INNOVAZIONI TECNICHE
La caratteristica del lavoro di fabbrica, che sostituì quello artigianale, fu la meccanizzazione del lavoro, ossia l’impiego di macchine che automatizzavano tecniche fino a quel momento manuali.
Sviluppo tecnologico e modo di produzione
Vi fu un condizionamento reciproco fra sviluppo tecnologico e mutamento della produzione: da una parte la grande quantità di materie prime, proveniente dalle colonie, necessitava, per trarre maggiori profitti, di un sistema di produzione più moderno. D’altra parte, proprio le innovazioni tecniche portarono ad un intensificarsi dello sfruttamento coloniale e ad un aumento continuo della produzione.
La meccanizzazione del lavoro
Le prime innovazione, nel campo della lavorazione tessile, si ebbero già nel corso del ‘700: nel 1733 John Kay invento la spoletta volante, che raddoppiò la capacità produttiva dei telai; nel 1764 James Hargreaves invento la spinning Jenny, una macchina filatrice che utilizzava la spoletta automatica; nel 1785 fu introdotto, da parte di Edmond Cartwright, il telaio automatico, mentre, qualche anno più avanti, la cotton gin permetteva di separare automaticamente la fibra del cotone dal seme.
La forza motrice
Fondamentale fu anche l’introduzione di una nuova e più efficace forza motrice. All’inizio si ricorreva all’energia idraulica e, quindi, quasi tutte le fabbriche erano situate nelle vicinanze di un fiume o di un lago. Con l’introduzione della macchina a vapore, inventata da James Watt nel 1780, si introdusse questa nuova forza motrice universale, che permise alle fabbriche di situarsi nelle vicinanze della città.
L’industria siderurgica
La siderurgia si sviluppò più tardi e contraddistinse la seconda fase della rivoluzione industriale [cfr. cap.9, pp.1-3]. La necessità di più numerose macchine per l’industria tessile portò alla produzione sempre maggiore di ferro greggio e alla sua lavorazione.
DATE
1733 John Kay inventa la spoletta volante
1764 James Hargreaves inventa la spinning Jenny
1775 James Watt inventa la macchina a vapore
1785 Edmond Cartwright introduce il telaio automatico
DOMANDE
1) Quali furono le principali innovazioni tecnologiche, che riguardarono la lavorazione tessile nel XVIII secolo?
2) La meccanizzazione del lavoro precedette l’utilizzo di nuove fonti d’energia?
3) Quali forze motrici facilitarono lo sviluppo industriale?
4) Indica quando si sviluppo l’industria siderurgica?
5) Per quale motivo lo sviluppo della siderurgia fu conseguente a quello tessile?
3. LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE NEGLI ALTRI PAESI EUROPEI
Ancora sull’Inghilterra
In Inghilterra, come abbiamo visto, la rivoluzione industriale fu un processo spontaneo e fu favorito dal carattere dinamico della classe proprietaria e da un prevalere della borghesia a livello economico.
Gli altri Stati
Negli altri Stati, invece, la produzione industriale venne introdotta in maniera più cauta, in quanto le classi egemoni temevano che il nuovo modello produttivo potesse mettere in discussione i loro consolidati poteri. Si volevano avere i vantaggi dell’industrializzazione, senza sconvolgere l’assetto tradizionale della società.
La Prussia
In Prussia il potere era in mano alla classe dei proprietari terrieri, gli Junker. Questi promossero una capitalizzazione delle campagne, senza tuttavia modificare i rapporti di potere, di natura oligarchica.
Lo Zollverein
L’iniziativa più rilevante fu lo Zollverein, ossia l’abolizione delle dogane all’interno di tutta la Confederazione germanica, che permetteva un maggiore commercio e favoriva una spinta produttiva.
Inizio ‘800
All’inizio del secolo l’unica industria avanzata era quella tessile, mentre scarsa era ancora la produzione del ferro e del carbone che avrebbe, in avvenire, costituito la ricchezza dell’economia tedesca.
L’Austria
L’Austria, coerentemente al ruolo di protagonista nella politica della Restaurazione [cfr. cap.2], si dimostrò, all’inizio del secolo, particolarmente ostile all’industrializzazione, timorosa che potesse mettere in discussione la gerarchia tradizionale fra le classi sociali.
Francesco I
Addirittura l’Imperatore Francesco I pose ilo veto alla costruzione di fabbriche. Tale situazione si modificò dopo il 1848 [vd.].
La Francia
La Francia vantava, già all’inizio della Rivoluzione francese, alcune industrie all’avanguardia in Europa (in particolare le telerie di Lione).
I contadini
La rivoluzione aveva dato alcuni privilegi alla classe contadina, che aveva partecipato attivamente alle insurrezioni. Questa situazione non poteva garantire un’accumulazione produttiva pari a quella inglese; pure la Francia entrò immediatamente tra le grandi potenze industriali e il suo ruolo si intensificò potentemente dopo il 1848 [cfr. cap.7].
Gli altri Paesi
Incrementi industriali si ebbero pure in Olanda, Belgio e Italia settentrionale. Regioni sottosviluppate rimasero invece l’Italia meridionale e l’Irlanda, dove infatti si verificò il fenomeno dell’emigrazione.
L’Italia meridionale
Nel sud dell’Italia si ebbe una politica di parziale defeudalizzazione, con un, sia pure cauto, allentamento dei rapporti di dipendenza. Pure questo processo favorì sempre i grandi baroni, che non riuscirono a modernizzare la produzione.
L’Irlanda
L’Irlanda vedeva invece impedita dall’esterno una modificazione dei rapporti sociali. L’Inghilterra, così sviluppata al suo interno, negava a tale territorio, a lei sottomesso, qualsiasi possibilità di sviluppo. Dal punto di vista sociale, rimase pesante la distinzione sociale fra cittadini protestanti e cattolici; da quello economico, unica risorsa dell’Irlanda era la coltivazione della patata.
DOMANDE
1) Precisa il differente svilupparsi della produzione industriale fra l’Inghilterra e gli altri paesi europei.
2) Per quale motivo gli altri Stati erano più cauti nel favorire, in una direzione industriale, una modificazione della produzione?
3) Chiarisci come i Junker, in Prussia, siano riusciti modificare l’assetto produttivo senza mettere in discussione il loro potere.
4) Che cos’è lo Zollverein?
5) Come mutò l’economia tedesca nella prima e nella secondai metà del XIX secolo?
6) Indica la posizione dell’Austria nei confronti della produzione industriale.
7) Precisa le differenze fra la situazione contadina in Francia e in Inghilterra.
8) Indica le cause dell’arretratezza in Italia meridionale.
9) …e in Irlanda?
4. LE CONSEGUENZE SOCIALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Il nuovo modello di produzione modificò profondamente la vita di moltissime persone e, in particolare, di quella gran massa di uomini disoccupati in seguito alla politica delle enclousures, che si trasformarono in operai salariati.
Il proletariato
Si formò una nuova classe sociale: il proletariato. Con quest’espressione s’intende quella classe d’individui che non possedeva alcuna risorsa esterna per poter sopravvivere (neanche le terre demaniali) e che poteva sfruttare unicamente la sua forza-lavoro. Tali lavoratori vendevano a un proprietario tale forza lavoro e ne ricevevano un salario. Il gran numero di proletari rendeva però ciascuno di essi ricattabile dal datore di lavoro e costretto ad accettare condizioni particolarmente sfavorevoli.
Peggioramento delle condizioni di vita
Le condizioni di vita delle classi più deboli peggiorarono, sia per quanto riguarda il lavoro in fabbrica sia per la qualità della vita all’interno dell’agglomerato urbano. Numerose furono le inchieste organizzate dal governo britannico che testimoniano le situazioni d’indigenza delle classi salariate e dei disoccupati.
Il dibattito storiografico
Questa negativa situazione sociale ha condotto un numero considerevole di storici a negare le capacità della rivoluzione industriale di produrre miglioramenti nelle condizioni di vita delle masse. I miglioramenti riguarderebbero solo una parte della popolazione, quella agiata, che poteva partecipare alla distribuzione della nuova ricchezza prodotta e quindi rendere più comoda, in maniera sensibile, la propria vita.
Una tesi alternativa
Un altro gruppo di storici, però, ritiene errata questa interpretazione e sottolinea come il nuovo sistema di produzione, al di là di alcuni scompensi iniziali, abbia comportato indubbi progressi di cui ha beneficiato l’intera società.
Conseguenze positive della rivoluzione industriale
Secondo questi ultimi storici, i fattori che dimostrano il miglioramento oggettivo apportato dall’industrializzazione sono: la scomparsa delle crisi demografiche di vecchio tipo; il miglioramento della situazione alimentare; le probabilità di vita che aumentarono progressivamente in quasi o tutti i paesi d’Europa; l’aumento dei redditi reali che consentì un miglioramento nel vitto e nel vestiario; maggiore igiene negli ambienti urbani.
IL DIBATTITO STORIOGRAFICOOttimisti e pessimisti
Possiamo considerare due gruppi di storici della rivoluzione industriale: i pessimisti, che sottolineano il peggioramento del livello di vita dei lavoratori, e gli ottimisti i quali, al contrario, ritengono che, ad una corretta lettura dei dati, non si possa negare una tendenza all’aumento generale del tenore di vita.
Anche i lavoratori migliorano
Secondo gli “ottimisti” il reddito pro capite aumentò anche per i lavoratori, pur non consentendo loro che un livello di vita estremamente misero. Fu la sempre maggiore coscienza politica dei lavoratori e le loro aspirazioni frustrate, che li condussero a sottolineare con maggiore forza la loro povertà e a non rendersi conto del miglioramento, comunque realizzatosi, del loro tenore di vita.
I nomi
Fra gli “ottimisti” possiamo ricordare gli storici R.M.Hartwell e Maxwell; fra i “pessimisti” E.Hobsbwan e L.Munford.
Le conquiste operaie
Secondo Hobsbwan non si può in effetti negare il miglioramento progressivo delle condizioni di vita in Europa nel corso del XIX secolo, solo che queste non sono una conseguenza esclusiva del nuovo modo di produzione ma delle lotte e delle conquiste ottenute dal movimento operaio.
Lewis Munford
Munford ha dedicato la maggiorparte dei suoi sforzi intellettuali alla ricostruzione delle condizioni di vita proletarie nella città industriale: la crudezza delle situazioni descritte lo ha condotto a negare qualsiasi validità, almeno nei tempi immediati, all’interpretazione “ottimistica” della rivoluzione industriale.
Le condizioni di lavoro in fabbrica
Fine del lavoro artigianale
Con l’avvento della produzione industriale scomparve la tradizione del lavoro artigiano, incapace di fronteggiare la concorrenza di una produzione di serie. L’artigiano impiegava infatti troppo tempo nel dare origine a un prodotto finito, mentre in fabbrica lo stesso prodotto poteva essere realizzato in quantità giornaliere molto superiori, riducendo i costi.
La divisione del lavoro
L’aspetto più originale del lavoro di fabbrica fu la divisione del lavoro: la produzione veniva suddivisa in diverse fasi e gli operai, formando una catena di montaggio, si dedicavano a una sola di queste fasi, per lo più coadiuvando l’attività della macchina.
Semplificazione del lavoro
Il lavoro risultò molto più semplificato e monotono, riducendosi l’attività dell’operaio a pochi gesti identici da ripetersi lungo tutta la giornata lavorativa. Si ebbe così una dequalificazione del lavoro in quanto, per svolgere le mansioni dovute, non fu necessaria alcuna competenza specifica.
Vantaggi per il datore di lavoro
Tale dequalificazione fu vantaggiosa per il datore di lavoro, la cui unica preoccupazione era di risparmiare sul processo produttivo, in modo da poter produrre a costi minori e battere la concorrenza. Non essendoci più manodopera specializzata, il capitalista si ritrovò una grande offerta di lavoro e poté scegliere imponendo pesanti condizioni contrattuali. L’operaio si vide costretto ad accettare condizioni di lavoro particolarmente faticose e con scarsa retribuzione.
Le donne e i fanciulli
I datori di lavoro poterono assumere in grande quantità donne e fanciulli, che erano in grado di svolgere con eguale abilità le semplici mansioni richieste all’operaio. Donne e fanciulli, a parità di tempo di lavoro impiegato, venivano pagati molto meno rispetto a operai maschi adulti.
La giornata lavorativa
Il capitalista cercava di sfruttare al massimo la forza lavoro a lui sottoposta, anche quando si trattava di donne e fanciulli. La giornata lavorativa poteva andare dalle 12 alle 16 ore, prevedendo anche un ciclo produttivo continuo e, quindi, orari notturni.
La resistenza operaia e le prime misure legislativeAppoggio del Parlamento inglese agli industriali
In un primo tempo il Parlamento inglese, pur proclamandosi neutrale nei confronti dei diversi modi di produzione, favorì in realtà capitalisti industriali. Un’inchiesta del 1806 proclamò la complementarità del modo di produzione artigianale e industriale e ritenne superfluo ogni intervento per regolare la concorrenza. In questo modo il parlamento tolse qualsiasi possibilità di sopravvivenza alle cooperative artigiane.
Combinactions Act
Il Parlamento, oltre a riconoscere l’assoluta libertà dei produttori vietava, nel contempo, qualsiasi forma di associazionismo operaio, attraverso il Combinactions Act. Le rivolte e le manifestazioni ebbero tutte allora un carattere illegale e si conclusero spesso con dei massacri, come a Pentridge, nel 1817 e a Paterloo nel 1820.
Il luddismo
Una prima forma di opposizione operaia, totalmente illegale, fu il movimento luddista (dal nome dell’operaio che fondò il movimento, Ned Lud). I luddisti propagandavano la distruzione delle macchine, simbolo dello sfruttamento operaio; i loro gesti potevano essere puniti addirittura con la pena di morte.
Il rifiuto dell’industrialismo
Il luddismo rappresenta una forma di protesta contraria alla produzione industriale, che desiderava un ritorno a modalità produttive artigianali. Diversa quindi da altre forme di pensiero operaio [vd. avanti] dove non si rifiuterà l’industrialismo ma solo la distinzione di classe fra proprietari e salariati.
Riconoscimento dell’associazionismo operaio
Nel 1825, sull’onda dello sdegno di alcuni massacri perpetrati dalla polizia, il Parlamento riconobbe il diritto degli operai ad associarsi e nacquero le Trade Unions. Queste, però, non dovevano avere finalità politiche e non potevano esercitare il diritto di sciopero, l’arma più potente in mano agli operai.
Il Cartismo
Il Cartismo è un altro movimento politico operaio promosso da una nuova associazione, la Working Man’s Association, nel 1836. Anche se venne sconfitto, fu importante perché promosse una Carta con sei rivendicazioni:
1. Suffragio universale maschile
2. Elezioni annuali
3. Segretezza del voto
4. Possibilità di essere eletti deputati anche senza censo
5. Stipendio ai deputati
6. Eguaglianza dei collegi elettorali.
Suffragio e condizioni economiche
Non stupiscano queste richieste, tese ad ampliare il meccanismo del suffragio: la necessità delle associazioni operaie di imporre le proprie rivendicazioni, imponeva una lotta a favore di un sistema rappresentativo più democratico. I cartisti volevano mettere in condizione qualsiasi cittadino di partecipare all’attività parlamentare, per evitare che i deputati fossero solo individui appartenenti alla classe politica dominante. Era l’unico modo affinché nel corpus legislativo potessero essere previste leggi favorevoli agli operai.
I primi interventi giuridici
Col riconoscimento delle forme di associazionismo operaio, vi furono anche i primi tentativi di correggere alcune iniquità nell’organizzazione del lavoro, in particolare quelle riguardanti le donne e i fanciulli. Queste sono le date più significative:
1831
in Inghilterra è vietata l’assunzione nelle fabbriche dei bambini inferiori ai nove anni e il lavoro notturno alle persone di età inferiore ai 18 anni
1841
è vietato l’impiego dei bambini inferiori agli otto anni e per i bambini inferiori ai 12 anni la giornata lavorativa non può superare le 12 ore
1844
riduzione della giornata lavorativa a sei ore e mezza per i bambini e le donne e a 12 ore per gli adulti
1847
riduzione della giornata lavorativa a 10 ore
DOMANDE
1) Descrivi le caratteristiche di classe del proletariato.
2) Per quale motivo questa classe era facilmente ricattabile dai padroni delle fabbriche?
3) Illustra il dibattito storiografico relativo alla rivoluzione industriale.
4) Quali sarebbero, secondo gli “ottimisti”, i dati oggettivi che confermerebbero il progresso prodotto dalla rivoluzione industriale?
5) Come mai gli operai non si accorsero, secondo gli “ottimisti”, del miglioramento del loro reddito?
6) Illustra la tesi di Hosbswan e l’analisi di Munford.
7) Perché il lavoro artigianale dovette arrendersi alla concorrenza di quello industriale?
8) Chiarisci che cosa s’intende con “divisione del lavoro”.
9) Perché la divisione del lavoro implica una dequalificazione del lavoro stesso?
10) Quali vantaggi trae il capitalista dalla divisione del lavoro?
11) Quanto poteva durare la giornata lavorativa?
12) Riassumi i primi interventi di carattere giuridico -inizialmente contrari, poi parzialmente favorevoli agli operai- realizzati in Inghilterra.
13) Illustra le caratteristiche del luddismo.
14) Che cosa sono le Trade Unions? Quali erano i loro diritti?
15) Definisci il movimento cartista e illustrane le rivendicazioni.
5. LE CONSEGUENZE CULTURALI DELLA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Liberalismo e socialismo
La rivoluzione industriale ha dato vita alle due più importanti concezioni politiche dell’occidente: il liberalismo e il socialismo. Già nel ‘700 si ebbero impostazioni intellettuali che avvicinarono personalità del tempo a tali convinzioni politico-filosofiche, ma solo dopo l’avvento della produzione industriale si crearono le condizioni economiche per una loro diffusione e affermazione nella totalità dell’ambiente culturale europeo. Liberalismo e socialismo segnarono -e in parte condizionano ancora- l’intera storia politica del XIX e XX secolo.
IL LIBERISMO ECONOMICO
Adam Smith e David Ricardo
I primi teorici del liberismo economico furono il filosofo ed economista inglese Adam Smith e l’economista David Ricardo. Con queste due personalità nacque la disciplina dell’economia politica, tesa a chiarire i criteri regolatori dell’economia capitalistica.
Opposizione al mercantilismo
Il liberismo economico si oppone alla vecchia dottrina mercantilista, affermatasi in Europa nel corso del XVII e XVIIII secolo; secondo questa teoria gli interessi dello Stato assolutistico coincidevano con gli interessi delle classi che producevano ricchezza, cioè i mercanti e gli imprenditori della vecchia industria manifatturiera.
Il ruolo dello Stato
Lo Stato doveva perciò svolgere una politica che appoggiasse gli interessi economici di queste classi: favorire le esportazioni dei prodotti, estendere i domini coloniali per creare nuovi mercati di vendita, tutelare il commercio interno proibendo l’importazione di prodotti dall’estero, quindi gravandoli di forti dazi.
La dottrina mercantilista è dannosa per gli imprenditori
Secondo Adam Smith questa politica è dannosa proprio per le classi che i fisiocratici vorrebbero proteggere. Secondo Smith -ma anche Ricardo- la ricchezza di un paese tanto più aumenta quanto più alle merci è consentito circolare da un paese all’altro senza inceppamenti di dazi e dogane.
Libertà per gli imprenditori
Agli imprenditori doveva essere lasciata dunque la massima libertà senza gli interventi dello Stato. La peggiore ingiustizia si sarebbe avuta se lo Stato fosse intervenuto a favore di una classe di cittadini rispetto a un’altra.
Imprenditore “nuovo”
Dal capolavoro di Adam Smith, Ricerca sopra la natura e le cause della ricchezza delle nazioni, emerge la figura di un imprenditore nuovo, quale prima non era mai esistito, capace di far fruttare il capitale non in maniera speculativa, ma con investimenti produttivi oculati.
Rivalutazione dell’egoismo
La concezione liberista assegna un ruolo importante al sentimento dell’egoismo, inteso come ricerca del proprio benessere individuale, da ottenere attraverso il lavoro. L’egoismo diventa un sentimento positivo in quanto -coerentemente alla filosofia di Smith- è sempre equilibrato da altri stati emotivi.
Il ruolo del mercato
In un’ottica più economica, l’egoismo non sortisce effetti negativi, in quanto il contrapposi di diversi “egoismi” individuali, attraverso le leggi economiche del mercato e i meccanismi della concorrenza, produce un benessere generale.
DOMANDE
1) Riassumi i termini dell’opposizione, da parte dei teorici del liberismo, alla teoria fisiocratica.
2) Quali sono le condizioni, secondo Smith, che favoriscono le condizioni di una nazione?
3) Quale deve essere il comportamento conseguente dello Stato?
4) Descrivi la figura sociale dell’imprenditore auspicata da Smith.
5) Per quale motivo il perseguire i propri interessi, secondo Smith, favorisce comunque il benessere collettivo?
IL SOCIALISMO
I pensieri socialisti sono pienamente coscienti della positività del progresso industriale e non intendono ritornare al modo di produzione precedente, a differenza del luddismo. Ritengono però -con ipotesi e formulazioni differenti- si debbano rivedere le condizioni di lavoro e l’assetto proprietario dell’economia capitalista, che genera disuguaglianze sociali e condizioni di vita precarie per il proletariato.
Il socialismo utopistico
I pensatori socialisti di cui parleremo rientrano nella corrente del socialismo “utopistico”. Tale espressione fu coniata dai filosofi Karl Marx e Friedrich Engels, che intendevano in questo modo distinguere tali teorie dalla loro concezione “scientifica” del socialismo. L’errore degli utopisti sarebbe quello di proporre criteri irrealizzabili per superare le iniquità prodotte dal sistema capitalistico, senza tenere conto delle condizioni storiche concrete.
Robert Owen
Robert Owen fu contemporaneo alle sommosse dei luddisti e prese immediatamente posizione a favore dei lavoratori: si fece sostenitore di misure di protezione sul lavoro, di leggi sulla limitazione dell’orario di lavoro e di una politica di piena occupazione.
Il cooperativismo
Il cooperativismo, teorizzato da Owen, è una forma di associazione operaia che gestisce direttamente il processo produttivo e rappresenta una delle prime ipotesi di superamento del capitalismo. Owen stesso promosse in America delle industrie autogestite dagli operai; l’esperimento fallì in seguito alla concorrenza delle altre imprese capitaliste che, realizzando uno sfruttamento senza scrupoli, potevano immettere i loro manufatti ad un prezzo inferiore sul mercato.
Saint-Simon
Saint-Simon fu un sostenitore del progresso industriale, adatto a migliorare in modo considerevole la vita umana. Il nuovo modo di produzione aveva sostituito l’economia feudale, fondata sul sopruso, sulla valorizzazione dei più pigri, incapace di generare un benessere collettivo.
Gli “industriali”
La classe degli “industriali”(comprendente tutti coloro che partecipano al processo produttivo: imprenditori, operai, commercianti) doveva unire le proprie forze per opporsi alla vecchia classe aristocratico-feudale, eliminandone tutti i privilegi. Saint-Simon negava dunque il conflitto di interessi fra padroni e operai, che riteneva potesse definitivamente risolversi una volta che il sistema di produzione industriale si fosse universalmente affermato.
Charles Fourier
Anche Charles Fourier riteneva che l’industrialismo fosse in sé positivo, in quanto eliminava dalle abitudini dell’umanità quella inattività colpevole, che vive sulle spalle del lavoro e della sofferenza altrui. I vantaggi dell’industrialismo, che sono quelli di rendere la vita più comoda, non devono però essere appannaggio di una minoranza.
Rivalutazione del piacere
Secondo Fourier qualsiasi attività umana deve essere finalizzata al piacere e al benessere, in ogni campo dell’esperienza. Lo stesso lavoro deve essere gradevole e gli sforzi devono essere equamente suddivisi fra gli uomini. Egli condanna allora lo sfruttamento operaio in fabbrica e propone un modello produttivo alternativo, capace di coniugare progresso industriale e negazione dello sfruttamento.
Il “falansterio”
Il falansterio è una piccola comunità, nel quale ogni componente svolge un lavoro attraente. I lavori faticosi, pur necessari, vengono realizzati a turno e sono pagati in misura superiore agli altri. L’aumento della soddisfazione dei lavoratori avrebbe garantito un aumento della produttività.
Pierre-Joseph Proudhon
Proudhon fu il primo a definire la proprietà come un furto; tale atteggiamento radicale gli valse l’apprezzamento di Marx che successivamente, invece, ne contesterà pesantemente le tesi.
Proprietà e possesso
In realtà Proudhon distingueva fra possesso legittimo di beni di consumo e proprietà illegittima di beni dai quali dipendeva la prosperità di tutti. La proprietà doveva dunque essere garantita a tutti in misura limitata; di conseguenza, Proudhon auspicava una società di artigiani e piccoli imprenditori.
Il ruolo dello Stato
Lo Stato però, secondo Proudhon, non doveva diventare proprietario dei beni collettivi, ma doveva limitarsi a coordinare e regolare le diverse comunità autogestite. Al pensiero di Proudhon si richiama la tradizione politica dell’anarchismo.
DOMANDE
1) Quale posizione assumono le ideologie socialiste nei confronti della rivoluzione industriale?
2) Per quale motivo le teorie socialiste delle origini sono definite utopistiche?
3) Esponi le posizioni di Robert Owen e definisci il cooperativismo.
4) Descrivi le caratteristiche della classe degli “industriali”, teorizzata da Saint-Simon.
5) Sottolinea l’importanza del concetto di piacere nel pensiero di Fourier.
6) Che cos’è il falansterio?
7) Come interpreti la critica radicale di Proudhon alla proprietà privata?
8) Distingui, in Proudhon, fra proprietà e possesso.
9) Quale dev’essere il ruolo dello Stato in Proudhon?