15
Nov
2006

Dal 1949 al 1960

4. La politica internazionale dal 1949 al 1960

§ Le conseguenze della “guerra fredda” in medio oriente e in Asia

La “guerra fredda” nei territori extraeuropei

Il bipolarismo che si venne a creare in Europa e che ebbe la definitiva attuazione con la formazione dei due stati tedeschi non riguardò esclusivamente l’Europa, ma diventò un modello di confronto politico che si estese in tutti i continenti.

La divisione del mondo in zone d’influenza

Era inevitabile del resto che le varie nazioni, bisognose di aiuti e sostegno economico, si mettessero sotto la protezione di una delle due superpotenze, riprendendone il modello di sviluppo economico e mantenendo rapporti di ostilità con i paesi che a questo si contrapponevano.

La decolonizzazione

Lo schieramento da parte dei paesi sottosviluppati a favore di una delle due superpotenze divenne necessario soprattutto in seguito alla crisi degli imperi coloniali inglese e francese che, lasciando libertà politica a territori che, negli ultimi secoli, erano sempre stati soggetti all’Occidente, li obbligavano a schierarsi e a seguire criteri di politica economica spesso estranei alla loro tradizione e che si imponevano con la violenza sulla popolazione.

Il Medio Oriente

Parleremo più avanti dell’intero processo della “decolonizzazione” (vd…); ora soffermiamoci invece sul Medio Oriente, quella zona geografica che va dalle coste del Mediterraneo orientale al Golfo Persico e che, dopo la dissoluzione dell’Impero Ottomano, era stata divisa fra l’Inghilterra, che aveva il mandato su Iraq e Giordania) e la Francia, che controllava la Siria e il Libano.

Il problema della Palestina

Tutti gli Stati che abbiamo sopra citato ottennero l’indipendenza, ma questo non riuscì a condurre la regione a una definitiva stabilità politica a causa dell’irrisolto problema della Palestina, regione in cui si concentrava tutta la tradizione storica e culturale del popolo ebraico, eppure abitata ormai, nella sua maggioranza, da popolazione araba.

Il sionismo e l’emigrazione ebraica in Palestina

La tendenza da parte di popolazione ebraica a ritornare nelle terre della Palestina era in atto già dalla fine del secolo XIX e, in alcuni momenti, fu attuata col consenso delle forze mandatarie inglesi. Il fondatore del sionismo è considerato Theodor Herzl, il quale fondò diverse istituzioni (culturali, politiche, bancarie) per favorire l’acquisto da parte del Congresso Mondiale Ebraico di territori in Palestina per favorire ivi il ritorno della popolazione ebraica. Nel 1908 venne fondata Tel Aviv.

I rapporti con gli inglesi

Molte di queste istituzioni avevano sede in Gran Bretagna e gli inglesi in un primo momento, dopo avere ottenuto il mandato coloniale, favorirono in parte alcune aspirazioni sionistiche; solamente gli inglesi erano favorevoli alla costituzione di un’entità arabo-ebraica, mentre esponenti radicali del movimento sionista pretendevano la costituzione di uno Stato interamente ebraico. Iniziarono così azioni di lotta armata da parte di alcuni gruppi sionisti, rivolte sia contro le potenze occupanti inglesi, sia contro la popolazione araba.

La situazione alla fine della seconda guerra mondiale

Terminata la seconda guerra mondiale e posto fine al mandato inglese la risoluzione della questione politica relativa ai territori ebraici in Palestina divenne più pressante, anche in seguito al profondo sdegno dell’opinione pubblica mondiale per il destino dei milioni di ebrei sterminati nei campi di concentramento. La Comunità internazionale intese la nascita dello stato di Israele come una sorta di riparazione nei confronti del popolo perseguitato.

La risoluzione dell’ONU del 1947

L’ONU, nel 1947, vista l’impossibilità di mettere d’accordo ebrei e arabi, decise la divisione della Palestina in due zone, l’una destinata a uno Stato ebraico, l’altra invece alla popolazione araba. Gerusalemme, invece, avrebbe formato una zona internazionale sotto il controllo dei due Stati. Entrambe le parti interessate, però, rifiutarono tale risoluzione.

La fondazione di Israele

Poche ore prima della scadenza del mandato inglese, il 14 maggio 1948, venne proclamata la nascita dello stato d’Israele, quando le truppe della Lega araba già circondavano il suo territorio. La guerra che subito divampò venne in poco tempo condotta vittoriosamente dagli israeliani; le terre che erano state assegnate ai palestinesi vennero annesse alla Transgiordania, che da allora venne a chiamarsi Giordania.

Le polemiche attuali

Con il 1948 si fu solo all’inizio del conflitto israelo-palestinese che, se pur in una mutata cornice politica, continua ancora oggi. L’annessione dei territori palestinesi da parte della Giordania è stata più volte, in questi anni, usata come arma polemica dalle rispettive parti in conflitto: da parte degli israeliani, si è affermato che i palestinesi avrebbero dovuto rivendicare i territori alla Giordania piuttosto che allo stato ebraico; mentre da parte palestinese si è risposto che i “territori occupati” furono senza motivo presi da Israele alla Giordania durante la guerra dei sei giorni.

L’India e il Pakistan

La Gran Bretagna dovette abbandonare il possesso coloniale di un altro importantissimo territorio asiatico, quello dell’India. Il Partito del Congresso, il più rappresentativo dello Stato, si batté durante gli anni della guerra per il raggiungimento dei una piena indipendenza. IL 20 febbraio 1947 si accettò un piano che prevedeva la creazione di due Stati, uno di religione induista (India), l’altro di religione musulmana (il Pakistan).

Il conflitto fra indiani e mussulmani

La rivalità fra induisti e mussulmani era infatti molto forte, come testimoniano tragici eventi accaduti negli ultimi anni nello stato indiano; l’assassinio del Mahatma Gandhi, la personalità più rappresentativa della lotta per l’indipendenza, venne assassinato il 30 gennaio 1948 da un estremista indù proprio per la sua posizione conciliante fra mussulmani e induisti.

Il destino del Pakistan

Il Pakistan era formato da due territori fra loro separati che, di lì a qualche anno, sarebbero entrati in guerra (Pakistan orientale e occidentale) per dare vita a un nuovo stato, il Bangladesh.

La Cina: Chiana Kai-shek e Mao

Un’altra sensibile svolta politica, destinata anch’essa a incidere sugli equilibri mondiali, si ebbe in Cina, dove la decennale e drammatica rivalità fra i comunisti guidati da Mao Tse-tung e le forze nazionaliste di Chiang Kai-shek, dopo la breve alleanza realizzatasi durante la guerra, riperse in forme molto cruente. Gli Stati Uniti finanziavano i nazionalisti e l’Unione Sovietica i comunisti.

La vittoria di Mao

I comunisti godevano di grande favore fra i contadini, anche perché il fronte nazionalista era dominato da personaggi corrotti e tesi rafforzare il proprio potere personale; la Repubblica popolare cinese vene proclamata da Mao il 1° ottobre 1949, dopo che, durante l’intero 1948, i comunisti erano riusciti a occupare le principali città del paese.

Formosa (Taiwan)

Chiang Kai-shek si rifugio nell’isola di Formosa dove, con l’appoggio degli americani, darà luogo a un piccolo stato di capitalismo avanzato da contrapporre al modello comunista. Per molto tempo gli USA r5iconosceranno il governo nella Cina nei rappresentanti di Taiwan; la rivendicazione da parte della Cina nei confronti dell’isola, ha dato luogo in questi anni a diversi motivi di tensione, come la manovre navali cinesi intorno all’isola nel 1995 in occasione delle libere elezioni.

Il trattato di amicizia cino-sovietico

L’URSS aveva appoggiato, come abbiamo ricordato, il movimento di Mao ed era naturale che i due paesi comunisti stipulassero un’alleanza, che fu ufficializzata con il “trattato d’amicizia” sottoscritto nel 1950. Pure le relazioni non furono sempre idilliache, in quanto la Cina, con un terzo della popolazione mondiale sul suo territorio, costituiva una potenza che poteva entrare in concorrenza con l’URSS, che era abituata a esercitare un’assoluta autorità su tutte le organizzazioni comuniste del pianeta. Non a caso le due nazioni, fra l’altro confinanti tra loro, manifesteranno interessi divergenti per quanto riguarda la politica in Indocina.

Il rapporto fra gli stati uniti e il Giappone

La necessità degli USA di contrapporre ai due grandi stati comunisti una potenza dichiaratamente filocapitalista, fece mutare i rapporti politico-militare con il Giappone; da paese occupato militarmente e con sovranità limitata, si trasformò in potente alleato, che riprese, nelle sue istituzioni, il modello di sviluppo capitalistico-democratico.

La Costituzione

La Costituzione approvata il 3 maggio 1947 riprendeva un modello istituzionale ispirato a quello statunitense, pur mantenendo ai vertici dello Stato l’Imperatore, svuotato però di ogni autentico potere. Ovviamente, l’opportunità di mantenere l’Imperatore al suo posto, per rendere meno traumatica la rottura con le tradizioni politiche del paese, portò a sorvolare sulle responsabilità dell’Imperatore nei crimini giapponesi perpetrati durante la guerra, anche se ci furono processi ai criminali di guerra e numerose epurazioni.

La divisione della Corea

Fu nella penisola coreana che la tensione fra le due superpotenze non si limitò a contrapporre diverse zone d’influenza e diversi modelli di sviluppo (oltre che di alleanza militare) ma condusse a un primo, sanguinosissimo, confronto armato. Si comprese dunque che la “guerra fredda”, anche se non degenerava in una guerra totale per il potenziale distruttivo altissimo delle armi a disposizione di USA e URSS, non escludeva conflitti di ambito locale particolarmente distruttivi per le popolazioni che si trovavano coinvolte.

La penisola coreana alla fine della guerra

La Corea, come era accaduto anche per altre zone geografiche, era stata occupata durante la guerra sia dalle truppe sovietiche (nella parte settentrionale) sia da quelle statunitensi (nella parte meridionale). Con l’acuirsi della tensione fra USA e URSS non si riuscì a trovare un accordo soddisfacente, tant’è che nel 1948 si arrivò, come accadde del resto per la Germania, alla costituzione di due stati, aderenti ovviamente a blocchi contrapposti.

Le due Coree

Nell’agosto del 1948 si tennero nei due stati elezioni fra loro indipendenti: la lista unica nelle regioni del nord diede il potere al partito comunista e l’Assemblea popolare suprema che ne usci proclamò la Repubblica democratica popolare di Corea. Nel sud invece risultò vincitore il Partito nazionalista conservatore che proclamò la nascita della Repubblica democratica di Corea il 15 agosto.

La guerra di Corea

I due stati confinavano all’altezza del 38° parallelo che, all’improvviso, venne superato dalle truppe nord coreane il 25 giugno 1950; queste arrivarono a occupare Seoul e altre importanti città dello stato meridionale, approfittando anche del sostegno militare della neonata Repubblica Popolare Cinese.

L’intervento dell’ONU

L’ONU condannò la Corea del nord quale stato aggressore e inviò delle truppe comandate dal generale MacArthur; il generale avrebbe voluto portare l’offensiva addirittura sul territorio cinese ma, anche per i contrasti nella stessa ONU ciò non avvenne. Le forze ONU riconquistarono i territori meridionali e la guerra, diventata di posizione, si trascino per circa tre anni provocando circa due milioni di morti fra i coreani.

L’armistizio

Alla fine, nell’ottobre 1953 si arrivo a un armistizio firmato nella città di Panmunjom, tutt’ora valido, dove il confine fra i due stati venne definitivamente stabilito sul 38° parallelo, con la reciproca garanzia di USA e URSS.

L’Indocina francese

In quegli anni venne crescendo la tensione anche in un’altra zona del sud-est asiatico, destinata a svilupparsi drammaticamente nel decennio successivo. Si trattava dei territori coloniali francesi. Mentre infatti l’Indonesia (dominio olandese), la Birmania (dominio inglese) e le Filippine conquistarono senza molta difficoltà l’indipendenza, nelle zone appartenute alla Francia c’era preoccupazione per le forze comuniste guidate da Ho Chi Minh, che minacciavano di estendere la loro influenza su tutta la regione.

La divisione del Vietnam

I francesi, che avevano numerose forze in Laos e Cambogia, appoggiarono un governo filo occidentale nella parte meridionale del Vietnam; non appena si costituì la Repubblica Popolare cinese che iniziò ad appoggiare esplicitamente le truppe nord vietnamite, anche gli Stati Uniti appoggiarono la Francia, costituendo le premesse per il loro futuro intervento militare, qualche anno più tardi..

§     I mutamenti politico-sociali in USA, Europa e URSS

La “guerra fredda” e le politiche interne nei vari stati

Abbiamo già notato come il mutato clima internazionale, caratterizzato da una sempre maggiore tensione politico-militare fra USA e URSS, avesse condizionato la politica interna italiana (cfr. cap. …), spingendo Alcide De Gasperi ad allontanare le sinistre dal governo e a integrarsi nel sistema di alleanze occidentali. Le elezioni politiche del 1948, come si ricorderà, furono caratterizzate da una forte contrapposizione ideologica, che era il riflesso della situazione internazionale.

Gli altri paesi

Questa caratterizzazione della vita politica interna sulla base della rispettiva collocazione internazionale non si ebbe, ovviamente, solo in Italia, ma ne furono investiti tutti i paesi interessati: dalle due grandi potenze, USA e URSS, ai diversi stati d’Europa, secondo la collocazione geopolitica o ideologica di appartenenza.

Gli USA

Negli Stati Uniti, la preoccupazione di una crescita d’influenza dell’Unione Sovietica in aree strategicamente rilevanti del mondo condusse la nazione, come abbiamo detto, a una politica estera di interventismo nei conflitti regionali (es. Corea, Indocina, ecc.). Questo impegno esterno, ben esemplificato dalla “dottrina Truman”, comportò una forte ideologizzazione interna e fece dell’anticomunismo la principale preoccupazione della vita politica americana.

Il Maccartismo

Questo clima fortemente ideologico condusse gli Stati Uniti, dagli anni 1950 al 1954, al fenomeno del maccartismo, dal nome di un senatore repubblicano del Wisconsin, Joseph McCarthy. La propaganda di questo politico fu imperniata su un falso rapporto che indicava come iscritti al Partito Comunista, o comunque spie dei paesi nemici, un numero elevatissimo di personalità, integrate a tutti i livelli della vita statale.

La legislazione maccartista

Dal punto di vista pratico, l’azione di McCarthy si tradusse in una serie di misure legislative tese a impedire la possibilità di associazione per i gruppi di sinistra, a schedare tutte le persone potenzialmente “sovversive”, a impedire l’accesso a ruoli di responsabilità nel meccanismo statale e, comunque, a creare ostacoli nella loro attività lavorativa. Molti uomini di cultura, in particolare registi cinematografici, trovarono forti ostacoli dall’azione delle leggi maccartiste e furono costretti a lasciare gli Stati uniti.

L’attività propagandistica

L’altro aspetto fondamentale del maccartismo fu un’attività propagandistica senza precedenti, tutta incentrata sull’anticomunismo; qualsiasi aspetto della vita politica o sociale, veniva ricondotto al tema dell’anticomunismo, alla necessità di difendersi dai bolscevichi e all’esaltazione dei più intransigenti valori nazionali.

I danni del maccartismo alla democrazia americana

L’esperienza del maccartismo minò fortemente i presupposti democratici della vita politica statunitense, piegando intellettuali e uomini di cultura; anche a livello di importanti uomini politici ci si avvide della pericolosità dell’azione di questo senatore, ma le campagne diffamatorie lanciate da McCarthy ebbero la meglio, anche nei confronti di personaggi illustri quali George Marshall.

Le contraddizioni economico-sociali negli USA

D’altra parte gli USA si indirizzavano verso una crescita economica che, aumentando in maniera sensibile il benessere della popolazione, rendeva superflua un’esperienza tanto radicale quanto quella del maccartismo, che venne dunque gradualmente superata. D’altra parte gli Stati Uniti rimasero un paese con forti contraddizioni interne, soprattutto per uno squilibrio di tenore di vita che contrapponeva la popolazione di colore .

La condizione dei neri americani

La popolazione di colore non solo era scarsamente integrata nella vita sociale ed economica, essendo relegata alle funzioni più umili e peggio retribuite, ma era ancora vittima di provvedimenti legislativi dichiaratamente razzisti. Nel 1957 il Congresso votò una legge per la garanzia dei diritti civili, che ebbe però molte difficoltà d’attuazione, anche per la resistenza di potenti uomini politici locali.

La condizione dell’Europa occidentale

Per quanto riguarda i paesi dell’Europa alleati degli Stati Uniti, la situazione era simile, dal punto di vista politico-sociale, a quella già considerata a proposito dell’Italia; una volta risollevata l’economia attraverso il “piano Marshall” i vari paesi attraversarono un felice periodo di crescita economica e cercarono, con la costituzione delle diverse forme di associazione europea, di creare un polo economico autosufficiente e di grande capacità produttiva.

La CECA e la CEE

Abbiamo già accennato, a proposito dell’Italia, dell’importanza di alcuni organismi europei quali la CECA, l’EURATOM e la CEE. Ricordiamo che di quest’ultima facevano parte originariamente sei nazioni: Francia, Germania, Italia, Belgio, Olanda, Lussemburgo. La Gran Bretagna preferì rimanerne fuori, in quanto già integrata nel Commewealth, l’insieme degli ex paesi appartenenti alla corna britannica che avevano con la madre patria un sistema di accordi commerciali preferenziale.

Il fallimento di una maggiore unità politica

Se gli organismi di collaborazione economica ebbero successo, e sono alla base dei tentativi di unificazione politica che proprio ai nostri giorni sembrano trovare finalmente attuazione, gli organismi che allora vennero istituiti per creare maggiore organicità fra i vari stati dell’Europa occidentale ebbero un esito deludente. Da una parte fu istituito il Consiglio d’Europa, le cui decisioni, però, non furono mai considerate vincolanti dai singoli stati. Ci fu anche un progetto di difesa comune (CED, Comunità Europea di Difesa) ostacolato dalla Francia, diffidente di una collaborazione militare con la Germania. La difesa dell’Europa occidentale fu allora affidata alla presenza di truppe statunitensi.

Il federalismo europeo

Già allora comunque furono presentati progetti per un’integrazione politica dell’Europa che, anche se non ebbero immediato esito, furono fondamentali per avviare quel processo che sembra potersi concludere in questi anni; particolarmente rilevante fu il Manifesto di Ventotene, elaborato da Altiero Spinelli, documento di riferimento del Movimento Federalista Europeo.

I singoli stati: l’alternanza fra laburisti e conservatori in Gran Bretagna

La Gran Bretagna soffrì in parte per la fine dei domini coloniali e questo periodo di transizione vide alternarsi al governo, com’era altre volte accaduto nella storia inglese, sia i laburisti sia i conservatori. I primi, sotto la guida di Clement Attle, attuarono un imponente programma di riforme sociali (istruzione, sanità, lavori pubblici); i secondi non contraddissero questa politica, anche se la limitarono ad alcuni, specifici, ambiti, dapprima conWyston Churchill, poi con Harold McMillan. Fu sotto quest’ultimo che si realizzo il definitivo smantellamento dell’Impero.

I singoli stati: la “quarta repubblica” in Francia

La Francia fu caratterizzata, negli anni immediatamente successivi alla guerra, da una forte instabilità politica, dovuta a diversi fattori: da una parte alla Costituzione che caratterizzava la quarta repubblica, nata immediatamente dopo la guerra; quindi la presenza di un forte Partito Comunista, che replicava in Francia la tensione ideologica esistente a livello internazionale; e infine la crisi dovuta alla fine dei domini coloniali. Non a caso i maggiori momenti d’instabilità coincisero con le principali tensioni in Indocina e per il canale di Suez.

I singoli stati: la Repubblica federale tedesca

Nella parte occidentale della Germania si avviò una efficace ricostruzione, sotto la guida del leader della Unione Cristiano Democratica (CDU),Konrad Adenauer. La CDU si alleò col Partito Liberale (FDP) e attuò un programma filo occidentale per quanto riguarda il contesto internazionale e liberista in economia.

I socialdemocratici tedeschi

Anche il Partito socialdemocratico, all’opposizione, attuò una potente trasformazione, integrandosi nella concezione politica democratico-occidentale; anche in seguito all’esperienza avvenuta nella parte orientale della Germania, dove i socialdemocratici erano stati costretti a unirsi con i comunisti, il partito decise di ridiscutere la propria appartenenza ideologica. Nel novembre 1959 tenne un congresso a Bad Godesberg in cui non si riconobbe più nella tradizione marxista e si trasformò in un partito riformista nell’ambito di una economia capitalistica.

La crescita economica della Germania

La Germania fu l’unico stato europeo, in questo periodo, a vantare un tasso di crescita economica superiore a quello dell’Italia, facendo crescere la sua produzione, nell’arco di dieci anni di circa il 130%.

 

L’Unione Sovietica nel dopoguerra

La situazione internazionale influì molto anche sull’Unione Sovietica, nonostante il carattere apparentemente immobile che la caratterizzava; già negli ultimi anni di vista di Stalin, i successi nella seconda guerra mondiale e il controllo diretto dell’Europa orientale avevano mutato la collocazione internazionale del paese. Solamente che, nelle cosiddette democrazie popolari, gli Stati a regime comunista sorti dopo la seconda guerra mondiale e alleati della Unione Sovietica, era stato esportato il rigido modello stalinista, immobilizzando qualsiasi sviluppo economico e politico.

Il destino delle democrazie popolari: l’epurazione dei partiti comunisti durante la guerra

L’esperienza comunista negli stati dell’Europa orientale nacque modo tale che l’esito antidemocratico di quei regimi era in qualche modo già preventivato: da una parte, durante gli anni della guerra, Stalin aveva compiuto delle vere e proprie epurazioni fra le dirigenze dei partiti comunisti europei, eliminando anche fisicamente le personalità più vivaci e antidogmatiche e favorendo l’emergere di mediocri personaggi a lui asserviti, destinati a guidare i nuovi stati.

Il destino delle democrazie popolari: le repressioni

Successivamente le epurazioni e repressioni interne caratterizzarono i primi anni di vita politica delle democrazie popolari, dove si tennero processi pubblici contro importanti personalità comuniste, accusate di reati improbabili secondo una tecnica inquisitoria che era già stata sperimentata in Unione Sovietica alla fine degli anni ’30.

La morte di Stalin

Stalin morì il 5 marzo 1953; è un avvenimento importante per capire il futuro destino dei paesi socialisti. Da una parte infatti l’avvenimento maturò una svolta importante in Unione Sovietica, che avrebbe potuto portare a radicali riforme in quel paese oltre a migliorare i rapporti con le democrazie popolari; dall’altra tale spinta riformista fu solo temporaneo e non alterò il rapporto di tipo coercitivo con gli stati satelliti. L’Unione Sovietica tornerà allora a degenerare nella propria struttura politica, fino all’esito infausto della sua storia.

Gli effetti immediati della morte di Stalin: la fine di Berjia

La morte del dittatore aveva causato la caduta in disgrazia delle personalità che più di tutte ne avevano appoggiato l’azione di governo; il primo a cadere fu il capo della polizia Lavrentij Berija, un criminale senza alcuna convinzione ideologica che Stalin aveva utilizzate per decimare tutto il gruppo dirigente bolscevico. Conscio della situazione, Berjia tentò un colpo di stato, ma venne imprigionato e fucilato.

Nikita Kruscev

In questo contesto emerse la personalità di Nikita Kruscev, formatosi fra i quadri politici staliniani, ma in grado di comprendere come l’Unione Sovietica, se rimaneva agganciata al modello economico imposto da Stalin, avrebbe perso la competizione economica con l’Occidente. Quindi iniziò un’opera di riconversione industriale, che fu però portata avanti in modo poco efficace e approssimativo. Durante il periodo krusceviano, comunque, si ebbe una parziale liberalizzazione della società sovietica.

Le contraddizioni della personalità di Kruscev: l’ambiguo rapporto con le democrazie popolari

Kruscev, probabilmente, intendeva condurre i paesi socialisti a un maggiore benessere, ritenendo che, in questo modo, i governi comunisti avrebbero ottenuto il consenso della popolazione; d’altra parte, fino al raggiungimento di questo scopo il partito dovesse difendere a ogni costo il proprio potere, anche con i mezzi più decisi. Ecco dunque che, proprio sotto il periodo krusceviano, si ebbero alcuni degli atti più drammatici da parte dell’Unione Sovietica nei confronti dei suoi alleati; quando sembrava infatti che il nuovo clima politico liberalizzasse eccessivamente la società, facendo temere un distacco dall’URSS, l’atteggiamento krusceviano sarà sempre di dura repressione.

La repressione a Berlino est del 1953

Nel giugno 1953 ci fu una protesta operaia a Berlino est che assunse i caratteri di una vera e propria rivolta anticomunista; incapace la polizia tedesco orientale di restaurare l’ordine, intervennero direttamente i carri armati sovietici, reprimendo in maniera cruenta la rivolta sotto gli occhi impotenti dei cittadini di Berlino Ovest.

Il 17 giugno

Da quell’anno una delle vie principali di Berlino Ovest, quella che attraversa il Tiergarden e che conduce alla porta di Brandeburgo, il luogo più rappresentativo della città che fu diviso per lunghi anni da un muro, si chiama “via del 17 giugno”, a ricordo della repressione sovietica degli operai tedesco-orientali.

L’incontro Kruscev-Tito

Nel maggio 1955 Kruscev visitò Belgrado e incontro il maresciallo Tito, ponendo fine a quello scisma che si era realizzato durante gli anni di Stalin.

La Conferenza di Bandung

Il capo dello stato jugoslavo si pose in quegli anni a capo di un’inziativa destinata a dare origine a quell’esperienza detta dei “paesi non allineati”: insieme al leader indiano Jawaharlal Nehru e a quello egiziano Nasser (vd. più avanti), propose ai paesi di nuova indipendenza di collocarsi in una posizione neutralista rispetto ai due blocchi, mantenendo comunque un deciso atteggiamento anti occidentale.

L’esempio della Cina

Queste decisioni furono possibili anche grazie all’affermarsi sulla scena mondiale di un’altra potenza comunista come la Cina che, partendo da condizioni di recente indipendenza e con un economia agricola per certi versi sottosviluppata era riuscita a compiere progressi economici soddisfacenti e a garantire alla totalità della sua sterminata popolazione una dignitosa sopravvivenza, senza venire a patti o essere costretta a rapporti di sudditanza con le due grandi potenze.

La politica di Mao

Mao riformò radicalemnte l’agricoltura cinese, collettivizzando la terra e creando delle comuni popolari che, oltre all’organizzazione del lavoro, provvedessero alla formazione integrale (culturale, ideologica) della popolazione. I risultati, deludenti dal punto di vista prodduttivo, furono equilibrati dalla politica del grande balzo, con la quale si poté sviluppare una discreta attività indiustriale.

Il XX Congresso del PCUS

Il 14 febbraio 1956 si tenne il XX Congresso del PCUS, nel corso del quale Kruscev attaccò duramente la personalità di Stalin, considerando contrario alla natura del socialismo il culto della personalità che il dittatore aveva realizzato. Ma particolare importanza ebbe il rapporto segreto che venne letto solo ai delegati sovietici il 26 febbraio, dove si rivelarono tutti gli innumerevoli crimini commessi da Stalin e la verità sui processi da lui organizzati.

Gli effetti del XX Congresso sugli altri partiti comunisti

Le informazioni contenute nel rapporto segreto trapelarono con facilità all’esterno; tutti i partiti comunisti occidentali, che avevano ancora solennemente celebrato Stalin al momento della morte, dovettero rivedere la propria impostazione ideologica, non senza difficoltà e dissidi interni. Ma soprattutto queste rivelazioni sconvolsero i partiti comunisti delle democrazie popolari, portando ai vertici del partito personalità più indipendenti, allontanando i responsabili dei processi di appena qualche anno prima e facendo così intravedere nuove prospettive politiche.

Le critiche cinesi alla destalinizzazione

La Cina fu il paese che con maggiore rigore criticò il processo di destalinizazione anche in seguito ad alcuni contrasti interni al Partito Comunista Cinese, che videro Mao attaccato dall’ala destra del partito. La Cina contestava in questo modo la supremazia dell’URSS nel mondo comunista e cercava di esercitare lei stessa un’egemonia sui paesi di recente decolonizzazione.

 

Le cause delle critiche cinesi

L’esigenza della Cina di realizzare gli ambiziosi piani economici, resi ancora più urgenti dall’enorme numero della sua popolazione, portò a un’attuazione rigidissima dei principi del socialismo, che non poteva evidentemente accettare il riformismo krusceviano.

 

Le rivolte in Polonia e Gomulka

Il primo paese che si ribellò all’URSS fu la Polonia, nazione a grande maggioranza cattolica dove alcune prestigiose autorità ecclesiastiche furono imprigionate; fu proprio la liberazione quasi contemporanea di Wadislaw Gomulka, un comunista antistalinista e di convinzioni nazionaliste, e del cardinale Stefan Wyszynski a permettere una soluzione non drammatica della crisi. La Chiesa si mostrò incline al compromesso e ottenne diverse concessioni, Gomulka poté attuare una politica di relativa autonomia garantendo la fedeltà della Polonia al sistema di alleanza creato dall’Unione Sovietica.

L’antisemitismo in Polonia

Bisogna dire anche come questa collaborazione fra Gomulka e le autorità cattoliche fu reso possibile dall’ideologia nazionalista del leader comunista e dal suo atteggiamento antisemita, radicato anche nella Chiesa e in un po’ in tutta la società polacca; in questo modo egli poté realizzare una politica di equilibrio e godere di un certo consenso fra la popolazione.

La rivolta in Ungheria

Più drammatica fu la rivolta che scoppiò in Ungheria e che costituì un’esperienza traumatica e decisiva per molti intellettuali comunisti, in special modo occidentali. Anche in Ungheria la destalinizzazione aveva portato ai vertici del partito personalità più liberali e, in particolare Imre Nagy; questi era stato espulso dal partito nel 1955, per il suo atteggiamento favorevole a riforme considerate troppo radicali; venne però richiamato al governo, quando, sulla scia degli avvenimenti polacchi, scoppiarono rivolte studentesche di natura esplicitamente antisovietica.

L’intervento sovietico

La rivolta ebbe il suo culmine dal 24 ottobre al 29 ottobre 1957. Intervennero le truppe sovietiche che attuarono una spietata repressione, arrestarono Nagy (che aveva chiesto via radio aiuti ai paesi occidentali) e lo condannarono a morte. Al suo posto subentrò Janos Kaddar  che attuò una politica di normalizzazione e che tenne le redini dell’Ungheria comunista fino al 1988.

Il comportamento dell’Occidente

Il mondo occidentale si schierò, ovviamente, a favore dei rivoluzionari ungheresi ma non rispose agli appelli di Nagy e non prese alcuna iniziativa che potesse concretamente far trionfare le ragioni antisovietiche. In quel periodo le potenze occidentale erano impegnate in un contenzioso per il canale di Suez (vd. più avanti) e, probabilmente, non intervennero per evitare intromissioni sovietiche nell’altra questione.

§     La decolonizzazione

La decolonizzazione

Nel corso di tutti gli anni cinquanta si impose sulla scena mondiale la volontà dei popoli soggetti a dominio coloniale di giungere a una autodeterminazione e indipendenza nazionale. Da una parte il fatto che una grande nazione come l’India fosse riuscita a liberarsi da un secolare dominio quale quello inglese, dall’altra l’emancipazione politica di un paese come la Cina furono motivi propulsori per numerose altre rivendicazioni che condussero, nel giro di qualche anno, a porre fine alle esperienze di colonizzazione.

Lo sfruttamento autonomo delle risorse

In questa rivendicazione d’indipendenza non era soltanto in discussione la libertà politica ma lo sfruttamento delle proprie ricchezze naturali, senza la mediazione delle potenze occidentali. In particolare era in gioco lo sfruttamento delle risorse petrolifere.

Il colpo di stato in Egitto del generale Nasser

In Egitto, nel luglio 1952, si ebbe un colpo di stato che portò alla cacciata del re Faruk; al vertice della nuova repubblica si posero dei militari che intendevano imporre una linea politica di assoluta autonomia nazionale. La personalità che emerse con maggio rilievo fu quella di Gamal Abd El Nasser, che intendeva, fra le altre cose, porre la nazione egiziana in posizione d’avanguardia per tutti gli altri stati arabi che dovevano fronteggiare la presenza d’Israele nella regione mediorientale.

Il colpo di stato in Iran

Le potenze occidentali, intenzionate a esercitare un controllo sulle fonti petrolifere e sorprese dagli avvenimenti egiziani, decisero di agire con durezza nell’Iran, in seguito alla nazionalizzazione dell’industria petrolifera voluta dal capo del governo Mossadeq. Venne organizzato, nel 1953, un colpo di stato che portò al potere lo scia Reza Pahlavi, che si mostrò subito remissivo verso le potenze occidentali e cercò, con il loro aiuto, di fare della Persia una mini potenza della regione.

 

L’instabilità nell’Indocina francese

Nel corso degli anni ’50 la Francia dovette rinunciare a qualsiasi pretesa di tipo coloniale, in Africa come in Asia; la prima grande crisi nei suoi possedimenti –cui abbiamo già in parte accennato- si ebbe nella zona indocinese. Sappiamo che intenzione della Francia era quella di arroccare le proprie forze nel Laos e nella Cambogia per arrestare l’avanzata delle truppe comuniste nord vietnamite. Questa loro strategia ebbe tragicamente fine con la battaglia Dien Bien Phu (7 maggio 1954), dove vennero fatti prigionieri ben 12.000 soldati francesi.

Gli “accordi di Ginevra” sull’Indocina

Nel luglio 1954, a Ginevra, si giunse a un accordo che poneva fine alla presenza francese nella regione: il Laos e la Cambogia divennero indipendenti, mentre il Vietnam venne diviso all’altezza del 17° parallelo in una zona comunista a nord e in una meridionale filo occidentale, protetta in particolare modo dagli Stati Uniti. Si riproponeva così, nel clima della guerra fredda, un ulteriore divisione di una popolazione sulla base di assolute contrapposizioni ideologiche.

 

La politica di Nasser

Nasser non ebbe all’inizio della sua esperienza di governo un atteggiamento antioccidentale, riuscendo a trovare accordi con le potenze occidentali su alcune questioni territoriali; d’altra parte rimase deluso dal fatto che non ricevette finanziamenti per alcuni progetti (la diga di Assuan) con il quale si riprometteva di far progredire l’economia egiziana e spostò la sua politica sempre più in direzione filosovietica.

La questione di Suez

Il 26 luglio 1956 l’Egitto annuncio di avere nazionalizzato la Compagnia Internazionale del Canale di Suez, sfidando in questo modo sia la Gran Bretagna sia la Francia, che vedevano minacciata la libertà di navigazione sul canale. Gli inglesi, d’accordo con la Francia, inviarono delle truppe in Egitto; Israele intanto approfittava della tensione per occupare la striscia di Gaza e la penisola del Sinai.

L’atteggiamento dell’ONU

A conferma del fatto che gli ex imperi inglese e francese non avevano più un peso determinante a livello internazionale, si ebbe il fatto che non solo l’Unione Sovietica, ma anche gli Stati Uniti si schierarono contro l’impresa anglo-francese. Dietro loro pressione, l’ONU condannò tutte le azioni espansioniste esercitate ai danni dell’Egitto, costringendo le truppe israeliane e inglesi a ritirarsi.

L’indipendenza del Marocco e della Tunisia

Di lì a poco la Francia si troverà costretta a rinunciare agli altri possedimenti africani; in alcuni casi ciò avvenne pacificamente, mantenendo comunque la Francia una posizione privilegiata nelle relazioni bilaterali politico-economiche. L’indipendenza alla Tunisia venne proclamata il 20 marzo 1956, anche se la forma repubblicana dello stato fu realizzata quattro mesi più tardi, a opera del nazionalista Neo-Destur. Nello stesso anno anche il Marocco divenne indipendente, governato da una monarchia di tendenza nazionalista già da tempo influente nel paese.

La guerra in Algeria

Ben diverso fu l’atteggiamento francese nei confronti dell’Algeria, dove i numerosi francesi presenti sul territorio, favoriti socialmente ed economicamente, non volevano saperne di concedere l’autonomia ed erano spaventati dal ritorno in una patria che, nella maggior parte, non avevano mai conosciuto; scoppiò così una rivolta (1° novembre 1954) che condusse a uno scontro fra i più cruenti di quegli anni. A guidare le forze indipendentiste fu il Fronte di Liberazione Nazionale, il cui leader, Ahmed Ben Bella ha avuto un ruolo determinante anche nei tragici avvenimenti che vedono coinvolta l’Algeria in questi ultimi anni.

La condotta francese verso l’Algeria

La Francia ricorse a forme di repressione molto feroci e lesive del diritto di autodeterminazione die popoli, instaurando anche un clima di censura al suo interno a proposito di questa guerra e isolandosi dalla comunità internazionale.D’0altra i coloni francesi, che istituirono in Algeria unComitato di salute pubblica, non volevano saperne di perdere il loro tradizionale potere.

L’azione di De Gaulle

La crisi algerina favorì il ritorno al potere di De Gaulle e la fine della “quarta repubblica”, la cui perenne instabilità non poteva reggere di fronte ad avvenimenti tanto sconvolgenti. De Gaulle, resosi conto del nuovo contesto internazionale, tradì però le attese dei nazionalisti, che pure lo avevano appoggiato nel suo ritorno al potere e strinse i tempi per un accordo con gli indipendentisti algerini.

L’OAS

Si formò allora, con intenzioni destabilizzanti, un gruppo armato che, attraverso azioni terroristiche, si proponeva di realizzare un colpo di stato: l’OAS (Organisation de l’Armée Secréte).

Gli accordi di Evian

De Gaulle allora firmò gli “accordi di Evian” per mettere i nazionalisti di fronte al fatto compiuto e porre fine alle azioni destabilizzanti; questi accordi prevedevano l’indipendenza dell’Algeria e il mantenimento di rapporti economici privilegiati con la Francia. I coloni francesi però, anche se erano nati in Algeria, dovettero fare lasciare il paese.

L’America latina

 

I rapporti fra l’America latina e gli USA

Come si ricorderà gli Stati Uniti, dall’inizio del XIX secolo, avevano cercato di esercitare una politica di stretto controllo nei confronti delle risorse dell’intero continente latino-americano, togliendo all’Europa qualsiasi possibilità di inserirsi in modo attivo in questi mercati. Con la situazione verificatasi all’indomani della seconda guerra mondiale, era ovvio che gli USA, nel clima della guerra fredda, intensificassero la loro influenza in un’area del mondo di capitale importanza, condizionando anche la natura politica dei diversi governi.

L’OAS

Nel 1948 venne creata l’OAS (Organizzazione degli Stati Americani), che però non ebbe i risultati sperati: da una parte non impedì agli USA di sfruttare a fondo le risorse dell’America centrale e meridionale; il timore che nel continente americano potesse imporsi un modello di sviluppo contrario ai principi del capitalismo fece appoggiare dagli USA anche feroci regimi militari ed evito l’instaurarsi di normali rapporti bilaterali.

L’inferiorità economica dell’America latina

D’altra parte i paesi latino-americani risentivano di un secolare dominio spagnolo che ne aveva impedito un naturale sviluppo economico; ricederete come l’indipendenza di questi paesi non fu ottenuta in base a istanze di progresso economico e politico, ma per favorire la classe dei creoli e permetterle di sfruttare più a fondo la manodopera, secondo criteri ormai sconosciuti nel mondo occidentale.

L’alleanza fra i regimi conservatori e gli USA

Da una parte l’interesse di queste classi possidenti che, pur essendo una minima percentuale, avevano nelle loro mani la stragrande ricchezza del paese, e la paura degli Stati Uniti che si diffondesse un modello politico comunista portò all’appoggio di alcune esperienze di dittature fra le più drammatiche di tutto il secondo dopoguerra.

Il fenomeno del populismo

Nei paesi più grandi si affermò, durante gli anni ’50, una forma più sfumata di autoritarismo, nota con il nome di populismo. Da una parte esso si fondava su valori nazionalistici e assumeva forme istituzionali, parole d’ordine e programmi politici non dissimili dall’esperienza del fascismo italiano, soprattutto nel fare riferimento a una personalità carismatica; dall’altra però, perseguiva un disegno di autonomia economica e di non sudditanza dal capitale straniero che urtava gli interessi statunitensi. Non è un caso che pure le esperienze populiste ebbero termine attraverso copi di stato militari.

Vargas

Il populismo si affermò in Brasile attraverso la personalità di Getulio Vargas, che aveva già assunto poteri dittatoriali negli anni ’30 e aveva condotto il paese a schierarsi contro le potenze dell’Asse; venne eletto trionfalmente nel 1950 quindi, messo sotto accusa dall’esercito, si uccise nell’agosto 1954.

Peron

La forma più famosa di populismo è quella che fece capo, in Argentina, a Juan Domingo Peron, già protagonista di un colpo di stato nel ’43, cui furono affidati diversi incarichi durante la guerra. Venne eletto nel 1946 e attuò una politica tesa a risollevare la condizione delle classi popolari (di cui però si evitava qualsiasi partecipazione attiva alla gestione del potere) e a schierarsi in posizione di neutralità rispetto alle grandi potenze, anche se la politica economica dovette comunque alla fine far ricorso a capitali statunitensi. Importante fu l’appoggio che ebbe dalla moglie Eva Duarte Peron, attiva in ambito sindacale e a favore dei diritti delle donne, personaggio che venne ben presto mitizzato nella tradizione argentina. Messo da parte dei militari nel 1955, passò all’estero gli ultimi suoi anni di vita.

L’esperienza cubana

Dove ci fu un netto rifiuto del modello politico-economico statunitense fu Cuba, che dopo una lunga guerriglia, dal 1954 al 1959, riuscì a realizzare uno stato socialista. Leader della rivoluzione cubana fu Fidel castro, giovane rivoluzionario che già aveva subito il carcere del dittatoreFulgencio Batista per un tentativo d’insurrezione.

L’ambiguo comportamento degli Stati Uniti

A dire il vero in un primo momento, gli USA mantennero un atteggiamento possibilista nei confronti di Castro, che d’altra parte non aveva manifestato da subito una ideologia dichiaratamente marxista. Ma il governo americano avvertì le pressioni delle grandi multinazionali della frutta che a Cuba, sfruttando la corruzione del precedente regime e lo sfruttamento della manodopera, facevano grandi affari. Se dunque non sostenne Batista fino all’ultimo e permise alla rivoluzione di trionfare, dall’altra non venne incontro a Castro quando questi, nel gennaio 1959, si impadronì del potere.

L’avvicinamento all’Unione Sovietica

Il rifiuto degli Stati Uniti di opporsi alle volontà puramente sfruttatrici delle multinazionali, condusse Castro ad avvicinarsi sempre più all’Unione Sovietica e a dare una fisionomia decisamente socialista al suo stato. Questo, se da una parte permise alla rivoluzione cubana di sopravvivere ottenendo pregevoli risultati, dall’altra sviluppò la rivoluzione in senso sempre più illiberale.

Ernesto Che Guevara

E’ forse questo il motivo per cui uno dei rivoluzionari più straordinari della rivoluzione cubana, Ernesto Che Guevara, dopo avere collaborato in parte con la nuova repubblica socialista in qualità di ministro, preferì lasciare incarichi di governo e organizzare nuove guerriglie nel Congo e in Bolivia.