24
Nov
2006

Kant

CAPITOLO PRIMO

IMMANUEL KANT
(1724 – 1804)

Lo studio del pensiero di Kant si effettua, generalmente, all’inizio dell’ultimo anno di corso e prevede tre argomenti fondamentali, corrispondenti alle tre Critiche realizzate dal filosofo. A volte, il docente inserisce nel programma anche delle informazioni relative al periodo precritico e, più raramente, affronta le riflessioni di Kant sulla storia e la religione. Se quest’ultimo campo, qualora non contemplato dal programma, può essere trascurato, è preferibile conoscere, almeno sinteticamente, il periodo precedente la stesura delle Critiche, importante per comprendere le motivazioni che hanno condotto Kant a rivoluzionare il proprio metodo di ricerca.
Nel presente capitolo affronteremo queste cinque aree tematiche e cercheremo non solo di chiarirle a livello concettuale, favorendo una loro comprensione e memorizzazione, ma indicheremo, nel contempo, i passaggi dall’una all’altra.
1. il periodo precritico
2. la Critica della ragione pura
3. la Critica della ragione pratica
4. la Critica del giudizio

Il periodo precritico

Importanza dello studio del periodo precritico

Nell’affrontare questo primo momento del pensiero kantiano, dobbiamo avere presenti alcune finalità. Kant, infatti, scrisse moltissimo negli anni precedenti il 1781, quando fu pubblicata la prima edizione della Critica della ragion pura. E all’epoca Kant, a 57 anni, era già uno dei maggiori filosofi del suo tempo. Eppure, se egli avesse interrotto allora la sua attività filosofica, probabilmente occuperebbe uno spazio marginale nei manuali di storia della filosofia. La grandezza di Kant, il poterlo considerare uno dei più grandi filosofi dell’intera storia umana dipende, infatti, dalle opere che egli scrisse negli anni successivi.

E’ evidente, allora, che la conoscenza del periodo precritico possiede, nello studio scolastico, una funzione puramente preparatoria, in grado di introdurci adeguatamente alle opere maggiori. Non solo ci permette di seguire dall’inizio il percorso intellettuale kantiano, durante il quale il filosofo viene sempre più precisando il proprio ambito di ricerca, ma soprattutto -e questo è molto importante per una corretta comprensione della Critica della ragion pura- ci consente di inserire Kant all’interno del dibattito filosofico del tempo.

Cronologia del periodo precritico:
Solitamente il periodo dal 1746 (anno di pubblicazione del primo scritto di Kant) al 1781 viene suddiviso in due fasi:
1) nella prima (fino al 1760), prevale un interesse per le scienze naturali,
2) nella seconda Kant approfondisce tematiche propriamente filosofiche, confrontandosi con le principali correnti di pensiero del tempo. Il filosofo comincia a interrogarsi sulla validità della disciplina filosofica, fino ad approdare (cfr. più avanti) al criticismo.

1746 -1760
Ai fini del nostro studio, siamo interessati in particolare al secondo periodo, durante il quale Kant approfondisce problematiche relative alla filosofia e alla metafisica, ampiamente discusse, in seguito, nell’opera maggiore.
Il primo periodo della sua attività è comunque meritevole di attenzione, soprattutto per l’interesse mostrato da Kant nei confronti della dottrina di Isaac Newton.

Newton
Il ruolo storico di Newton, di cui Kant era pienamente consapevole, consiste nell’avere definitivamente giustificato, dal punto di vista fisico, l’ipotesi galileiana dell’universo geocentrico. Già Keplero aveva confermato tale ipotesi dal punto di vista matematico, ma solo la teoria della gravitazione universale di Newton, attraverso la descrizione di un sistema completamente meccanico dell’universo, riusciva a giustificarla dal punto di vista fisico, unificando con una sola legge fenomeni fra loro molti diversi.

L’esigenza di un “Newton della filosofia”
Kant, nei suoi primi scritti, esprime più volte l’esigenza di un “Newton della filosofia”, in grado di operare quella giustificazione del sapere filosofico che Newton aveva realizzato per l’ambito scientifico: si trattava di delimitare l’ambito di competenza della filosofia in maniera certa, definire con esattezza il suo oggetto e stabilire criteri di verità in merito alle sue asserzioni. Questa volontà di rivoluzionare la filosofia, richiamandosi al modello di Newton, è ciò che condurrà Kant a realizzare i suoi futuri capolavori; e possiamo affermare che proprio lui sarà quel “Newton filosofico” auspicato.

Interessi per le scienze naturali
In questa prima fase della sua attività, Kant rivolge i propri interessi di ricerca soprattutto al campo delle scienze naturali. E’ abbastanza celebre, a proposito, lo scritto Storia universale della natura e teoria del cielo (1755), dove il filosofo formula un’ipotesi sull’origine del sistema solare (ipotesi Kant e Laplace).

1760 – 1781

La validità della scienza
Kant è convinto che la scienza sia l’unica disciplina in grado di fornire conclusioni certe, sulle quali si può registrare un assenso unanime. Il grado di validità riconosciuto alla scienza -soprattutto dopo le ricerche di Newton- non appartiene ad alcuna altra disciplina, nemmeno alla filosofia, che pure pretende di agire attraverso argomentazioni fondate sulla razionalità logica.

La giustificazione della scienza e il problema della metafisica
A partire dal 1760, la ricerca di Kant si dedica allo studio dei fondamenti metodologici della scienza e della filosofia. Da una parte, il filosofo intende spiegare i motivi di validità della scienza, dall’altra vuole comprendere le ragioni per cui la filosofia non è stata in grado, sino a ora, di raggiungere conclusioni teoretiche definitive. Si delinea in maniera chiara il problema della metafisica, disciplina in cui si rispecchia l’impotenza della filosofia a definire con verità il proprio oggetto di ricerca.

L’empirismo e Hume
A spingere Kant verso queste conclusioni è sicuramente la corrente filosofica inglese dell’empirismo, e in particolare il pensiero di David Hume. Per ora ci limitiamo a constatare come l’influenza filosofica di Hume spinga Kant a dubitare in maniera definitiva della metafisica; più avanti vedremo come Kant corregga lo scetticismo del filosofo inglese in merito alla possibilità di un sapere scientifico.

Rifiuto della metafisica
La lettura di Hume convince Kant dell’inconsistenza del sapere metafisico, considerato ormai alla stregua di una superstizione. Lo scritto più significativo, a questo proposito, è Sogni di un visionario chiariti coi sogni della metafisica, in cui il filosofo deride le supposte visioni spiritualistiche dello svedese Emanuele Swedenborg. Il valore dello scritto non risiede tanto nella giusta derisione di tali esperienze (condivisa, del resto, dagli studiosi del tempo), quanto nel fatto che Kant consideri la metafisica imperante nelle università tedesche di allora alla stregua di queste esperienze. La metafisica, disciplina che pretende speculare su realtà estranee alla facoltà sensibile dell’uomo, non possiede, evidentemente, fondamento.

Motivazioni della ricerca gnoseologica
A Kant non era sufficiente questo irriverente accostamento, che urtava la suscettibilità di molti accademici del tempo. Bisognava giustificare in modo filosoficamente profondo l’insufficienza della metafisica, porre a confronto la razionalità fisico-matematica, in grado di raggiungere risultati corretti, con quella speculativa, per individuarne le ragioni di insufficienza. Il filosofo allora, nella maggiorparte degli scritti di questo periodo, avvia quell’analisi di carattere gnoseologico, il cui fine è circoscrivere le possibilità conoscitive dell’uomo, per stabilire, successivamente, il grado di validità delle diverse discipline.

La Dissertazione
Hanno origine alcuni scritti che sono considerati immediati precedenti del criticismo, in cui si manifesta per la prima volta quella metodologia investigativa propria delle opere future. In particolare, è da ricordare la dissertazione del 1769 De mundi sensibilis atque intellegibilis, forma et principiis. Kant doveva chiarire, da una parte, i motivi in base ai quali la matematica si poteva considerare una scienza certa, dall’altra le ragioni per cui la metafisica non poteva essere considerata scientifica. Sono domande che troveranno risposta definitiva solo nella Critica della ragione pura, ma che vengono a configurarsi e a essere discusse, per la prima volta, proprio in quest’opera.

Distinzione fra realtà sensibile e realtà intellegibile
Nella dissertazione Kant distingue la realtà sensibile da quella intellegibile e afferma come l’inefficacia della metafisica dipenda in primo luogo dal voler applicare un’analisi di carattere razionale, propria della realtà sensibile, al mondo intellegibile. Il filosofo aggiunge inoltre, che solo l’accettazione di un limite delle facoltà umane consente di dare validità e fondamento alla conoscenza.
RIPASSARE LA PARTE LETTA

Espressioni significative:

Periodo precritico – Teoria della gravitazione universale – “Newton della filosofia” – Giustificazione della scienza – Problema della metafisica – Empirismo – Realtà sensibile – Realtà intellegibile

Cronologia del periodo precritico (1746 – 1781):
1746/1760: prevale l’interesse per le scienze
1760/1781: Kant affronta tematiche propriamente filosofich

Domande

1) Precisa il significato dell’espressione “periodo precritico”

2) Spiega l’importanza della conoscenza di questo periodo in vista di uno studio adeguato del pensiero kantiano.

3) Indica gli estremi cronologici del periodo precritico e precisa in quante parti è possibile ulteriormente suddividerlo

4) Soffermati sull’interesse di Kant per le scienze della natura e spiega la particolare importanza da lui attribuita all’opera di Newton.

5) Quali considerazioni deve trarre la disciplina filosofica dall’opera di Newton?

6) Per quali motivi Kant separa, nelle sue osservazioni, la scienza dalla metafisica?

7) Spiega l’influenza esercitata su Kant dalla corrente filosofica inglese dell’empirismo.

8) Riprendi le osservazioni kantiane contenute nell’opera Sogni di un visionario… e precisa il giudizio di Kant sulla metafisica.

9) Chiarisci l’importanza della dissertazione di Kant del 1769.

10) Indica i punti in cui la dissertazione anticipa alcuni contenuti della Critica della ragione pura.

La Critica della ragion pura

La Critica della ragion pura è opera estremamente complessa e concettualmente elaborata che, anche nella riduzione manualistica, crea diverse difficoltà allo studente che vi si accosti per la prima volta. Il capolavoro di Kant affronta diverse questioni, alcune richiamate nel paragrafo precedente e, nell’esaminarle, si confronta con moltissime ipotesi speculative del passato. E’ opera dunque di grande ricchezza tematica e, nello stesso tempo, propone elaborazioni concettuali ardite che spesso, nella riduzione sintetica, diventano ancora più difficili da comprendere. Nonostante questa complessa varietà, la prima Critica è opera fortemente unitaria, strutturata in maniera rigorosa, e ogni parte non può essere adeguatamente compresa se non in relazione alle altre.

Come organizzare lo studio
Ne deriva, sulla base di queste osservazioni, che lo studio della prima opera kantiana, per dare luogo a un esito positivo, deve essere rigidamente organizzato. Innanzitutto, è indispensabile realizzare uno schema che offra in sequenza tutti i concetti principali dell’opera. Ogni unità dello schema va studiata separatamente e adeguatamente meditata sino a quando non si è consapevoli di averla compresa con esattezza. Una volta analizzato questo schema, è indispensabile relazionare fra loro le diverse parti, per padroneggiare l’opera nella sua struttura unitaria.

Il presente paragrafo intende procedere per singoli argomenti, attraverso un’esposizione sintetica, schemi grafici, riassuntivi, domande riepilogative. Si farà attenzione, altresì, a porre in relazione ogni concetto con quello immediatamente precedente, in maniera da non perdere la dimensione complessiva del lavoro.

SCHEMA DEL PARAGRAFO

1) I problemi alla base della Critica della ragion pura

a) la scienza
b) la metafisica
c) la struttura dell’opera

2) Introduzione al concetto di criticismo

a) i concetti di a priori e trascendentale

3) Il problema della scienza

a) l’eredità di Hume
b) i giudizi analitici e sintetici
c) la rivoluzione copernicana

4) L’Estetica trascendentale

a) la definizione di spazio e tempo
b) confronto con precedenti considerazioni filosofiche

c) giustificazione della matematica e della geometria

5) Introduzione all’Analitica trascendentale

6) La conoscenza

a) il rapporto molteplice sensibile e intelletto
b) le categorie
c) confronto con le categorie aristoteliche

d) la tavola dei giudizi e delle categorie

7) La deduzione trascendentale
a) l’Io penso

8) Lo schematismo trascendentale

9) Introduzione al concetto di noumeno

10) La Dialettica trascendentale e ripresa del problema metafisico

11) La ragione speculativa

12) Le idee della ragione
a) la psicologia razionale
b) la cosmologia razionale
c) la teologia razionale

13) L’uso regolativo delle idee della ragione

Il linguaggio kantiano
Un’altra osservazione preliminare riguarda il linguaggio. Il lessico kantiano è estremamente specifico, e non è possibile riproporne, in fase espositiva, gli argomenti senza utilizzare un linguaggio appropriato. E’ impossibile, nel caso della filosofia kantiana, effettuare perifrasi di alcuni particolari concetti. E’ importante, quindi, evidenziare immediatamente i principali termini ed esercitarsi a riproporli nella propria esposizione, in maniera da inserirli subito nella personale competenza linguistica.

In queste pagine si avrà particolare cura nell’evidenziare i concetti fondamentali, isolandoli graficamente e proponendo delle definizioni il più possibile precise e sintetiche.

1. L’impostazione della Critica della Ragion Pura

Le quattro domande iniziali
Nell’Introduzione alla Critica della ragion pura Kant pone alcune celebri domande, che sintetizzano le questioni cui l’opera è dedicata.

Le quattro domande sono:
1) com’è possibile la matematica pura
2) com’è possibile la fisica pura
3) com’è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale
4) com’è possibile la metafisica come scienza

Il senso di queste domande dovrebbe risultare chiaro, una volta comprese le principali problematiche affrontate da Kant nel periodo precritico. E’ altresì evidente che alle quattro domande è necessario rispondere in sequenza: prima, difatti, è importante chiarire la natura della scienza, cercando di giustificare in maniera definitiva le ragioni della sua efficacia. Solo dopo è possibile discutere della metafisica, per verificare se tale disciplina possiede quei criteri di validità propri della scienza.

Atteggiamento di Kant verso la scienza…
E’ evidente, infatti, come Kant non dubiti affatto della validità della scienza -prendendo così le distanze da Hume-, ma intende solo dimostrare in maniera evidente le ragioni di tale efficacia. Tale indagine deve procedere diversamente nei confronti della matematica e della fisica: la prima, infatti, ha una validità indipendente dall’esperienza; la seconda, invece, è strettamente legata al mondo fenomenico. Le dimostrazioni della loro validità si fonderanno su criteri diversi e verranno discusse rispettivamente, la prima, nell’Estetica trascendentale e, la seconda, nell’Analitica trascendentale.

…e verso la metafisica
Differente è invece l’atteggiamento da tenere nei confronti della metafisica, perché, sino a ora, tale attività speculativa non è riuscita a proporre nessuna verità con lo stesso grado di evidenza delle discipline scientifiche. D’altra parte, Kant deve ammettere che la volontà di indagare il mondo intellegibile rappresenta un bisogno insopprimibile dell’uomo, che è naturalmente portato a interrogarsi su quella realtà inaccessibile alla propria facoltà rappresentativa. Da una parte, allora, il filosofo deve giustificare il fatto che la ragione umana induce l’uomo a porsi questioni di carattere metafisico, dall’altra verificare se è possibile, per la metafisica, raggiungere un criterio di verità analogo a quello delle discipline scientifiche.

La struttura dell’opera
La discussione in sequenza di tali problemi, fra loro evidentemente collegati, determina la struttura dell’opera, che è indispensabile conoscere per isolare, ma nel contempo mettere in relazione, le diverse tematiche.

L’opera presenta una prima suddivisione:

a) Dottrina degli elementi

b) Dottrina del metodo

Ai fini di uno studio manualistico è rilevante solo la Dottrina degli elementi, che è ulteriormente suddivisa in due sezioni:

a1) Estetica trascendentale

a2) Logica trascendentale

la Logica trascendentale è ulteriormente suddivisa in:
a1.1) Analitica trascendentale

a1.2) Dialettica trascendentale
Le prime due domande sono affrontate in a1 e in a1.1: nell’Estetica trascendentale, infatti, nel trattare i “principi a priori della sensibilità” (spazio e tempo) vengono giustificate le discipline matematiche. Nell’Analitica trascendentale, dedicata ai “principi a priori dell’intelletto” e al loro congiungersi col molteplice sensibile, si ha una fondazione della fisica.

Il problema della metafisica è invece esaustivamente affrontato nella Dialettica trascendentale (a1.2): il concetto di “ragione speculativa” chiarisce perché, nella facoltà conoscitiva dell’uomo, vi sia l’esigenza di andare oltre i dati della sensibilità. L’analisi delle “idee della ragione” illustra l’impossibilità per la metafisica di fare proprio un metodo d’indagine razionale.

2. Il criticismo

Il metodo critico
Le interrogazioni sui fondamenti della scienza e della metafisica sono possibili, a parere di Kant, solo attraverso il metodo critico. Tale metodo è alla base sia della Critica della ragion pura, sia delle altre, successive, Critiche. Attraverso il criticismo Kant intende sottrarsi a quell’atteggiamento dogmatico di ricerca che accettava delle asserzioni teoretiche senza interrogarsi sulla loro effettiva validità.

Non bisogna commettere l’errore di attribuire all’espressione “critica” lo stesso valore del nostro linguaggio ordinario: il termine, concepito da Kant, intende indagare il fondamento di un esperienza, per verificarne la validità e individuarne le condizioni di possibilità.

La definizione di criticismo
Il criticismo è una forma d’indagine che non si applica direttamente al fenomeno, ma intende cogliere quelle condizioni a priori senza le quali l’oggetto non potrebbe manifestarsi; precede dunque l’analisi dei singoli fenomeni e precisa le circostanze anteriori la realtà oggettiva (trascendentali), che rendono però possibile il suo rivelarsi (condizioni di possibilità).

Il superamento kantiano dell’illuminismo
Come si comprende dal titolo dell’opera che stiamo esaminando, Kant intende sottoporre a “critica” la stessa ragione. Dunque Kant va oltre le convinzioni dell’empirismo e dell’illuminismo, in quanto non si limita a sottoporre all’analisi della ragione le diverse conoscenze umane, ma intende esaminare la ragione stessa o, com’egli dice: “sottoporre la ragione al tribunale di se stessa”. Lo scopo è quello di determinare i limiti d’applicazione dell’attività razionale.

I limiti dell’intelletto umano
Il punto di partenza è la coscienza dei limiti propri dell’intelletto umano, convinzione che Kant riprende, come abbiamo visto, dall’empirismo inglese e dalla filosofia di John Locke. Su tali limiti la ragione, afferma Kant, determina le capacità e i poteri dell’uomo; il riconoscimento di tali limiti deve diventare la norma che garantisce la validità della conoscenza. L’indagine critica si propone di indagare le condizioni “a priori”, precedenti l’attività conoscitiva, che rendono possibile la conoscenza e che ne costituiscono, al tempo stesso, i limiti.

Il concetto di trascendentale
Come si attua un’analisi critica? come è possibile esaminare un’esperienza umana da un punto di vista esterno, prescindendo dai suoi contenuti, in maniera da osservarne con obiettività i limiti e le possibilità? Attraverso un’analisi trascendentale, ovvero una riflessione filosofica sugli elementi a priori della conoscenza, che indaga non direttamente l’esperienza, ma le sue condizioni di possibilità [ si può utilizzare anche il sostantivo trascendentalismo ].

E’ importante non confondere il termine trascendentale con quello di trascendente: quest’ultimo indica un completo oltrepassamento dell’esperienza, mentre il primo esprime le condizioni che precedono l’esperienza e la rendono possibile.

Il termine, oltre a indicare un particolare atteggiamento dell’analisi filosofica, può essere utilizzato anche come sinonimo di a priori. Le “condizioni di possibilità dell’esperienza” sono infatti gli “a priori” che rendono l’esperienza possibile, la precedono nel suo manifestarsi.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative:
Struttura della Critica della ragion pura – Criticismo – Limiti dell’intelletto umano – Trascendentale – Trascendente – Immanente – A priori

Domande

1) Riprendi le questioni poste da Kant all’inizio della Critica della ragion pura.

2) Introduci il problema relativo alla scienza e spiega perché Kant distingue fra la matematica e la fisica.

3) Introduci il problema della metafisica e cogli l’aspetto complementare delle due domande riguardanti questa disciplina.

4) Spiega i motivi per cui la discussione sulla scienza deve precedere quella sulla metafisica.

5) Riprendi la struttura della Critica della ragion pura.

6) Quali argomenti compongono l’Estetica trascendentale?

7) Di quali argomenti tratta l’Analitica trascendentale?

8) Qual’è l’oggetto della Dialettica trascendentale?

9) Introduci e spiega il concetto di criticismo.

10) Che cosa sottopone Kant ad analisi critica?

11) Perché Kant supera l’istanza di razionalità propria della cultura illuministica?

12) Introduci e spiega i concetti di trascendentale e a priori.

13) Spiega la differenza fra i seguenti concetti: trascendente, trascendentale e immanente.
3. La ricerca dei giudizi sintetici a priori

Abbiamo poc’anzi sottolineato come Kant fosse profondamente convinto dell’assoluta superiorità della scienza rispetto a qualsiasi altra disciplina. Non riteneva, quindi, di doverla mettere in discussione, quanto di renderne evidenti, attraverso l’analisi critica, i criteri di validità.

Necessità di rispondere a Hume
D’altra parte, Kant doveva risolvere le obiezioni che David Hume aveva precedentemente rivolto al sapere scientifico, sostenendone l’impossibilità. Hume era filosofo -l’abbiamo già detto- cui Kant era fortemente debitore e che l’aveva convinto del carattere inconsistente, dal punto di vista teoretico, della metafisica. Kant riteneva, però, non si potesse estendere l’atteggiamento scettico anche al sapere scientifico.
Il compito che Kant si proponeva non era facile. Le conclusioni del filosofo inglese, conseguenza del suo radicale atteggiamento empirista, sembravano inattaccabili. E’ evidente come, per comprendere adeguatamente la risposta kantiana, si debba ripassare in maniera approfondita il pensiero di Hume, quantomeno le argomentazioni relative alla scienza.

Hume e l’empirismo
Hume era convinto che, una volta accettati i criteri dell’empirismo, si potesse assumere solo un atteggiamento scettico. L’empirismo sosteneva [ e anche questo è un argomento da ripassare ] la derivabilità della conoscenza umana esclusivamente da criteri sensoriali; il mondo fenomenico è così alla base di qualsiasi giudizio, anche il più astratto. La disciplina matematica, per esempio, trova la sua origine empirica nella necessità umana di classificare, secondo criteri quantitativi, il molteplice sensibile. Secondo la dottrina empirista, allora, un’affermazione è vera solo se fondata, nei suoi criteri ultimi, sull’esperienza percettiva.

Hume: radicalizzazione dell’empirismo
Hume conduce alle estreme conseguenze questo ragionamento e afferma che, se la verità conoscitiva deriva solo dall’osservazione empirica, non può esistere alcuna verità scientifica. Questa, difatti, pretende che le sue asserzioni abbiano un valore universale: un’affermazione scientifica, una volta accettata, dovrà valere anche per le future manifestazioni di un fenomeno.

Impossibilità della previsione scientifica
La sensazione, unica conoscenza certa di cui disponiamo, non può garantire, secondo Hume, la ripetizione identica del fenomeno nel futuro; il valore di certezza della sensazione, infatti, si realizza solo nel momento in cui la si esperisce, quindi unicamente nella dimensione temporale del presente. La famosa frase presa a esempio da Hume: “domani il sole non sorgerà”, nel suo affermare un paradosso conferma l’impossibilità di prevedere alcun fenomeno. Io posso essere certo che il sole domani sorgerà solo quando lo vedrò effettivamente sorgere, quando i miei sensi mi confermeranno l’accadere del fenomeno.

La credenza
Se infatti, nonostante qualsiasi sicurezza scientifica, il fenomeno non dovesse verificarsi, noi non potremo che prendere atto del fallimento della nostra ipotesi. E la certezza che un fenomeno si verifichi indefinitivamente con identici criteri non può mai, afferma Hume, fondarsi su ipotesi razionali, ma solo sulla fiducia o credenza dell’uomo.

Fondatezza della teoria di Hume
Spesso si prova un sentimento di stupore quando si incontrano queste riflessioni di Hume. L’evidente superiorità della scienza, la fiducia che nutriamo in essa, ci fanno apparire stravaganti queste affermazioni. Anche Kant aveva un’assoluta fiducia nelle possibilità della scienza. Eppure, dal punto di vista della sola teoria, la posizione di Hume -l’abbiamo già ricordato- sembrava difficilmente contestabile.

Impossibilità per Kant di contrapporre a Hume il razionalismo
Kant non poteva contrapporre all’empirismo humiano l’ipotesi razionalistica [esistenza di principi razionalmente evidenti accessibili al pensiero] in quanto era convinto, analogamente a Newton, che qualsiasi procedimento deduttivo [ da principi di caratteri generali a conclusioni particolari] non potesse sottrarsi a una verifica empirica. Il procedimento di analisi adottato da Newton, in effetti, suggeriva un superamento del conflitto fra razionalismo ed empirismo, nel suo intrecciare procedimento deduttivo e verifica sperimentale. E in effetti, secondo Kant, solamente attraverso la rinuncia a un’impostazione rigidamente empirista era possibile risolvere il problema sollevato da Hume.

L’elemento a priori della rappresentazione
Se, nell’atto conoscitivo, tutte le informazioni derivano dall’esperienza, è impossibile prevedere l’accadere futuro dei fenomeni -come sostiene Hume-; se però nella rappresentazione dei fenomeni, è presente anche un elemento a priori, allora è possibile universalizzare il fenomeno percepito e prevederlo anche in relazione al futuro. Quest’impostazione è alla base dell’elaborazione, da parte di Kant, dei giudizi sintetici a priori.

I tre giudizi
I giudizi sintetici a priori rappresentano il superamento del puro razionalismo e dell’empirismo, e vengono da Kant elaborati a partire da due precedenti forme di giudizio:
.  i giudizi analitici a priori
.  i giudizi sintetici a posteriori.

I giudizi analitici a priori
I primi rappresentano la struttura logica del razionalismo, in quanto sono giudizi autoevidenti, che risultano immediatamente chiari all’intelletto senza bisogno di alcun ricorso all’esperienza. Sono i giudizi in cui il predicato non fa che esplicitare quanto già contenuto nel soggetto [esempi: “il triangolo ha tre angoli”; “i corpi sono estesi”]. Come si nota, questi giudizi sono assolutamente certi, ma non realizzano alcuna crescita della conoscenza. I principi razionali dell’intelletto sono sterili, se non applicati all’esperienza.

I giudizi sintetici a posteriori
I giudizi sintetici a posteriori hanno invece la qualità di estendere il nostro bagaglio conoscitivo, in quanto il predicato esprime una qualità ulteriore rispetto a quanto definito dall’oggetto. E’ possibile conseguire questo risultato attraverso l’analisi dell’esperienza [esempio: “i corpi sono pesanti]. Questi giudizi rappresentano la concezione empirista, in quanto derivano totalmente dall’osservazione fenomenica e, proprio per questo, non possono valere universalmente.

Natura dei giudizi scientifici
E’ evidente che le proposizioni scientifiche non possono rientrare in nessuna delle due categorie di giudizi, in quanto una legge scientifica deve garantire sia la crescita sia l’universalità della conoscenza. Una legge scientifica deve infatti incrementare la conoscenza (essere sintetica) e nello stesso tempo non essere vincolata all’esperienza rappresentativa (essere a priori). Qualora riuscissimo a dimostrare l’esistenza di giudizi sintetici a priori, potremmo affermare la possibilità della scienza e superare, definitivamente, l’obiezione scettica di Hume.

I giudizi sintetici a priori
Kant non ha dubbi sull’esistenza dei giudizi sintetici a priori: la matematica è caratterizzata da tali giudizi. Nella formula: “5 + 7 = 12”, il risultato 12 rappresenta un elemento ulteriore rispetto ai numeri 5 e 7, che in sé non contengono necessariamente la somma 12.
Per quanto concerne l’ambito fisico-fenomenico, Kant è convinto che ogni giudizio che noi traiamo dall’esperienza, faccia riferimento ad un giudizio sintetico a priori. Il giudizio di causalità [ogni effetto ha una causa] è alla base di numerosissime osservazioni empiriche, che, proprio in virtù di questa derivazione, possiedono un valore non limitato alla singola esperienza percettiva, ma estendibile anche al futuro [tutte le volte che affermeremo un giudizio sulla base dell’esperienza, in esso sarà sempre compreso il concetto di causalità; difatti l’uomo, prima ancora di conoscere il mondo, si rapporta a esso ricercando le cause dei fenomeni. La relazione causale è dunque il contenuto a priori che precede ogni valutazione empirica].
Nella prima parte della Critica della ragion pura Kant intende proprio spiegare come si attua questa sintesi fra contenuti a priori dell’intelletto ed esperienza sensibile.

La Rivoluzione copernicana
L’espressione “rivoluzione copernicana” viene utilizzata da Kant, in senso metaforico, per sottolineare la novità del suo procedimento d’indagine. E’ un concetto che esprime, dunque, la consapevolezza che il filosofo aveva dell’originalità della propria ricerca, in grado di risolvere l’annosa controversia fra razionalismo ed empirismo.

Modificazione dei rapporti fra soggetto e oggetto della conoscenza
Kant ha radicalmente modificato i rapporti fra il soggetto e l’oggetto, così come Copernico aveva invertito le posizioni della terra e del sole. Non è più il soggetto che modella la propria conoscenza sugli oggetti -se così fosse, si ritornerebbe allo scetticismo di Hume, in quanto l’intelletto umano dipenderebbe completamente dall’esperienza- ma sono gli oggetti a uniformarsi ai principi a priori dell’intelletto umano, permettendo così la formulazione di giudizi universali.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Empirismo – Impossibilità della previsione scientifica – Credenza – Fiducia – Razionalismo – Procedimento deduttivo – Verifica empirica – Giudizi analitici a priori – Giudizi sintetici a posteriori – Giudizi sintetici a priori – Rivoluzione copernicana
Domande

1) Per quale motivo Kant non ritiene condivisibili le opinioni di Hume sulla scienza?

2) Ricostruisci il ragionamento di Hume, teso a dimostrare l’impossibilità della legge scientifica.

3) Spiega il concetto humiano di credenza.

4) Riprendi le definizioni di razionalismo ed empirismo, e ricostruiscine le principali argomentazioni.

5) Spiega i motivi per cui le ricerche di Newton superano l’antitesi fra razionalismo ed empirismo.

6) Ricostruisci il modo in cui Kant risolve il problema dei giudizi scientifici.

7) Definisci i giudizi analitici a priori e evidenziane i limiti.

8) Definisci i giudizi sintetici a posteriori e illustrane i limiti.

9) Per quali motivi, una proposizione scientifica non può identificarsi con alcuno dei giudizi sopra ricordati? Quali caratteri deve possedere?

10) Definisci il giudizio sintetico a priori e fai un esempio relativo all’ambito matematico.

11) Spiega in che modo un giudizio sull’esperienza fa riferimento implicito a un giudizio sintetico a priori.

12) Illustra la metafora della rivoluzione copernicana

4. L’Estetica Trascendentale

Oggetto dell’Estetica trascendentale
L’Estetica trascendentale intende stabilire le condizioni di possibilità (a priori) dell’esperienza. La conoscenza, infatti, si realizza a partire dall’incontro fra i principi a priori dell’intelletto e il molteplice sensibile (superamento di razionalismo e empirismo). Prima di indagare la natura dell’intelletto, Kant si sofferma sull’esperienza; anche questa, infatti, deve essere possibile sulla base di determinate condizioni, che costituiscono i suoi a priori.

La forma e la materia della conoscenza
Kant distingue, infatti, fra una materia della conoscenza, costituita dai fenomeni percepiti tramite le sensazioni, e una forma, ossia i criteri classificatori con cui il nostro intelletto unifica il molteplice sensibile (vd. più avanti, p.14 ).
Nell’Estetica trascendentale Kant inizia a esaminare la materia della conoscenza (il molteplice sensibile), chiarendone le condizioni di possibilità. Più avanti nell’opera, precisamente nell’Analitica dei principi, il filosofo affronterà la forma della conoscenza, ossia le categorie dell’intelletto.

Definizione di Estetica trascendentale
Il termine “estetica” indica il presentarsi del mondo sensibile, l’apparenza percepita dalla sensazione. In altre parole: la sensibilità. La sezione intitolata Estetica trascendentale, allora, si occuperà delle condizioni di possibilità (trascendentale) del sensibile, dei fenomeni così come i nostri sensi li percepiscono.

Definizione di spazio e tempo
Gli a priori della sensibilità sono lo spazio e il tempo. Difatti non è possibile concepire alcuna manifestazione sensibile se non in un determinato spazio e in un determinato tempo. Spazio e tempo sono definiti da Kant “le forme pure dell’intuizione”, in quanto precedono ogni esperienza e, di conseguenza, devono essere intuite come momento precedente qualsiasi percezione.
Kant precisa che lo spazio è l’intuizione relativa al senso esterno (organizzazione degli oggetti esterni) e il tempo del senso interno (organizzazione degli stati sensibili interni).

Differenza da razionalismo ed empirismo
Il razionalismo, invece, individuava in spazio e tempo dei concetti: poiché un concetto è sempre un’elaborazione di un’esperienza, un cogliere in essa delle caratteristiche generali, spazio e tempo -afferma Kant- non possono essere costruzioni concettuali, proprio perché precedono qualsiasi esperienza. Un ragionamento simile comporta anche una differenza dalle posizioni empiriste: le dimensioni spazio-temporali non possono essere afferrate dall’intelletto a partire dall’esperienza, in quanto senza di esse l’esperienza stessa non sarebbe possibile.

La giustificazione della matematica
Sull’intuizione di spazio e tempo è possibile fondare la validità delle scienze matematiche e rispondere alla prima delle domande che Kant si era posto all’inizio dell’opera. Sulla validità a priori della matematica Kant non ha dubbi: le affermazioni matematiche sono vere a prescindere dal loro riferimento all’esperienza.
La geometria, a partire dall’intuizione pura di spazio, indica a priori le proprietà delle figure; l’aritmetica, invece, quelle della serie numerica, in base all’intuizione pura del tempo.

La matematica e l’esperienza
Come si spiega però che le discipline matematiche possano essere applicate all’esperienza con assoluta efficacia, nonostante il fatto che la loro validità sia indipendente dalla realtà fenomenica?
Proprio perché le intuizioni pure di spazio e tempo sono le condizioni a priori della sensibilità. Le discipline che si fondano su di esse aderiscono, allora, alla realtà sensibile, spiegandola nella sua organizzazione razionale.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Estetica trascendentale – Forma e materia della conoscenza – Spazio – Tempo – Intuizione – Concetto – Giustificazione delle discipline matematiche
Domande

1) Qual è l’oggetto dell’Estetica trascendentale?

2) Per quale motivo Kant deve precisare, oltre agli elementi a priori dell’intelletto, anche quelli della sensibilità?

3) Che cosa intende Kant per materia e forma della conoscenza?

4) Che cosa s’intende per estetica?

5) Chiarisci il significato dell’espressione Estetica trascendentale.

6) Come definisce Kant lo spazio e il tempo?

7) Spiega perché Kant considera lo spazio e il tempo delle intuizioni.

8) Precisa il modo di concepire lo spazio e il tempo da parte del pensiero razionalista e indica i motivi per cui Kant ritiene errata tale interpretazione.

9) Cogli gli stessi motivi della domanda precedente, in merito però alla filosofia empirista.

10) Come Kant può giustificare, nell’Estetica trascendentale, le discipline matematiche?

11) Perché tali discipline, pur avendo una giustificazione a priori, si applicano con efficacia all’esperienza?

5. L’Analitica Trascendentale
L’Analitica trascendentale costituisce la sezione maggiormente significativa dell’intera prima Critica. Kant vi descrive il processo conoscitivo secondo i nuovi criteri della “rivoluzione copernicana”.

In queste pagine Kant deve confermare la possibilità dei giudizi sintetici a priori e chiarire la loro elaborazione da parte dell’intelletto. Tutta l’impostazione del criticismo è confermata in questa sezione e descritta nelle sue principali sequenze.
La successiva discussione in merito alla metafisica -che Kant affronterà nella Dialettica trascendentale- non è altro che un trarre le conseguenze dall’organizzazione della conoscenza come Kant la delinea in questa parte dell’opera. E’ nell’Analitica che trovano conferma le proposte teoretiche kantiane, che si superano contemporaneamente le interpretazioni gnoseologiche razionaliste ed empiriste.

I giudizi sintetici a priori, citati in precedenza come gli unici capaci di rappresentare le affermazioni scientifiche, sono illustrati, in queste pagine, nel loro prodursi, attraverso l’incontro fra gli elementi a priori dell’intelletto e il molteplice sensibile.

6. La scoperta della categorie

Noi sappiamo come Kant intenda individuare determinati principi a priori dell’intelletto che, uniti al molteplice sensibile, diano origine ai giudizi sintetici a priori. Le conoscenze ricavate dall’osservazione empirica avrebbero allora un valore universale e costituirebbero un sapere scientifico.

I giudizi
Per comprendere la natura dei principi a priori dell’intelletto, non possiamo fare altro che partire dai giudizi che noi formuliamo sull’esperienza. Ogni forma di conoscenza è infatti composta da giudizi, dei quali dobbiamo stabilire la validità. Questi giudizi, rivolti alla realtà sensibile, non fanno altro che individuare nei fenomeni delle caratteristiche peculiari che permettono di classificarli. Per es., nei giudizi “quell’oggetto è rosso”, oppure “quel corpo è pesante”, noi cogliamo delle caratteristiche particolari del fenomeno percepito, in base alle quali possiamo raggruppare determinati fenomeni ed escluderne altri.

Le categorie
I principi a priori dell’intelletto, in grado di interpretare la realtà sensibile, devono essere, di conseguenza, dei criteri classificatori, grazie ai quali è possibile isolare un fenomeno e differenziarlo dagli altri. In filosofia, a partire da Aristotele, i criteri di classificazione della realtà sono stati chiamati categorie. Con queste vanno allora identificati gli a priori dell’intelletto.

Le categorie di Aristotele
Era inevitabile che Kant si confrontasse con la Logica aristotelica, dove le categorie rappresentavano tutte le forme di giudizio possibili sulla realtà. Kant avverte un’identica finalità fra il proprio lavoro e quello di Aristotele, consistente nel classificare in maniera esaustiva le forme di giudizio e le possibilità umane di indagare i fenomeni.

Proprio in quel periodo, in Germania, c’era stato un rifiorire degli studi su Aristotele, in particolare in seguito all’opera di Adolph Trendelenburg, professore all’Università di Berlino; questa atmosfera aveva sicuramente coinvolto anche Kant.

Le categorie di Aristotele [le ricordiamo: sostanza, quantità, qualità, relazione, luogo, tempo, situazione, avere, agire, patire], però, non erano, a giudizio di Kant, frutto di un’analisi rigorosa. La scelta aristotelica sembrava al Nostro il risultato di un’intuizione empirica, di un’osservazione approssimativa dell’esperienza e, di conseguenza, la serie delle categorie aveva un che di confuso e casuale.

La Logica generale
Per evitare l’approssimazione aristotelica bisogna, a parere di Kant, partire dai risultati della logica generale. Questa disciplina aveva classificato i giudizi secondo quattro grandi gruppi: quantità, qualità, relazione. modalità. Qualsiasi giudizio umano, afferma la logica generale, è inseribile in uno di questi quattro criteri classificatori.

La tavola dei giudizi
Ogni gruppo contiene tre differenti giudizi. Si ha così la Tavola dei giudizi:

Quantità Qualità Relazione Modalità
Particolare Affermativo Categorico Problematico
Singolare Negativo Ipotetico Assertorio
Universale Infinito Disgiuntivo Apodittico

Le categorie kantiane
Grazie alla logica generale, Kant può allora individuare le categorie, quei principi a priori contenuti nell’intelletto che, applicati alla sensibilità, sono in grado di classificarla e coglierla nelle sue differenti particolarità.
La sensibilità infatti, nell’insieme percettivo, è un tutto confuso, un insieme inesauribile di elementi che non potrebbero essere distinti dall’uomo, se il suo intelletto non possedesse questa proprietà classificatoria, questa capacità di classificare, grazie alle categorie il reale. La conoscenza, e il giudizio che la contraddistingue, non è altro che il cogliere nel sensibile, attraverso le categorie, una proprietà che permette di formulare un giudizio su di esso.

La tavola delle categorie
Ogni giudizio della tavola precedente, deve essere formulato in base a una categoria che classifica il fenomeno sensibile in base a un preciso criterio logico. Alla Tavola dei giudizi corrisponde allora una Tavola delle categorie, dove finalmente possiamo indicare con precisione quei principi a priori la cui ricerca era il principale scopo dell’opera.

Quantità Qualità Relazione Modalità
Molteplicità Realtà Sostanzialità Possibilità\impossibilità
Unità Negazione Causalità Esistenza\inesistenza
Totalità Limitazione Azione reciproca Necessità

Schema gnoseologico
Il soggetto (S) conosce l’oggetto (O).

(O) viene percepito da (S) attraverso la sensazione. L’intelletto di (S) applica a questa realtà sensibile le categorie (Q,Qua,R,M). Queste costituiscono come una specie di reticolo, maglia, cui (O) si deve adeguare per essere conosciuto da (S), diventando (O rosso).

(O) viene conosciuto solo quando le categorie dell’intelletto lo avranno completamente classificato; sulla base di queste categorie si formulerà un giudizio.

Il problema del noumeno
Resta inteso che l’oggetto (O) conosciuto da (S) non è l’oggetto quale esiste indipendentemente dalla rappresentazione, ma solo dopo che è stato classificato dalle categorie. Sorge allora la domanda sul fatto che (O) coincida con (O rosso), se l’oggetto in sé sia identico a quello interpretato dalle categorie.
E’ evidente che a questa domanda è impossibile rispondere, in quanto, per conoscere l’oggetto in sé (noumeno), ossia l’oggetto come esiste al di fuori di qualsiasi rapporto percettivo, io dovrei conoscere l’oggetto senza le categorie, cioè conoscere al di fuori di quelle regole per cui funzione la conoscenza.
Tale domanda è dunque destinata a rimanere irrisolta, con profonde conseguenze sulle possibilità della nostra conoscenza. Le categorie rappresentano allora il limite della nostra ragione, oltre al quale l’uomo non può ambire a estendere la sua conoscenza.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Analitica trascendentale – Principi a priori dell’intelletto – Giudizi – Categorie – Logica generale – Quantità, qualità, relazione e modalità – Tavola dei giudizi – Tavola delle categorie – Noumeno

Domande

1) Spiega il motivo per cui Kant, all’inizio dell’Analitica trascendentale, prende in considerazione i giudizi.

2) Chiarisci che cosa s’intende con il termine categorie.

3) Per quale motivo gli elementi a priori dell’intelletto non possono essere altro che categorie?

4) In Aristotele e Kant le categorie assolvono alla stessa funzione?

5) Chiarisci la critica di Kant alle categorie aristoteliche.

6) Per quale motivo Kant ricorre alla Logica generale?

7) Indica i quattro gruppi di giudizi e spiega la funzione delle Tavole dei giudizi e delle categorie

8) Spiega la funzione delle categorie dell’intelletto.

9) Che cosa s’intende con l’espressione: “le categorie unificano il molteplice sensibile”?

10) Cogli il motivo per cui l’impostazione gnoseologica kantiana conduca, necessariamente, al concetto di noumeno.

7. L’Io-penso

Kant ha chiarito l’elaborazione, da parte dell’intelletto, dei giudizi sintetici a priori. Affinché la sua spiegazione risulti pienamente convincente, però, deve anche descrivere nei particolari il procedere della conoscenza, sciogliendo alcune difficoltà presenti nella sua teoria gnoseologica.
Da una parte, l’applicarsi di diverse categorie in ogni singolo giudizio -anche il più semplice- sembra offrire una spiegazione macchinosa di un fenomeno, qual è la conoscenza, che avvertiamo accadere in maniera spontanea. Dall’altra, l’incontro fra concetti logici -tali sono le categorie dell’intelletto- e i fenomeni empirici -ovvero realtà sensibili- sembra indicare una relazione fra due entità incommensurabili.

La deduzione trascendentale
Kant introduce il termine deduzione trascendentale tutte le volte che deve giustificare la validità di determinati concetti. Più volte -nel corso delle diverse Critiche- il filosofo ricorre alla deduzione per motivare particolari asserzioni.
La deduzione trascendentale non è -come invece sosterranno filosofi immediatamente successivi a Kant- una giustificazione complessiva di un’intera impostazione filosofica, ma un procedimento di carattere logico applicato di volta in volta, nel corso dell’argomentazione, a particolari concetti.

La deduzione trascendentale delle categorie
Incontriamo la prima formulazione kantiana di deduzione nell’Analitica trascendentale, quando il filosofo deve garantire la legittimità delle categorie a classificare con competenza i fenomeni. Attraverso la deduzione trascendentale Kant può sostenere che “i concetti a priori si possono riferire a oggetti”.
Le categorie, infatti, potrebbero applicarsi a fenomeni che non fanno parte dell’esperienza (al noumeno, a Dio); la deduzione trascendentale serve, in questo caso, ad indicare la validità delle categorie solo se applicate ai fenomeni empirici. Di conseguenza, la deduzione conferma la validità delle categorie rispetto ad ambiti specifici, ma ne evidenzia, nel contempo, i limiti applicativi.

L’Io penso
L’io penso o “unità sintetica originaria dell’appercezione” intende spiegare il modo in cui diverse categorie, applicandosi ad un oggetto dell’esperienza, contribuiscono a formare un unico giudizio. Ogni giudizio, anche il più semplice, presuppone l’applicazione di più categorie, attraverso le quali noi cogliamo nell’oggetto percepito determinate caratteristiche. Ora, queste caratteristiche non sono una rappresentazione diversa da quella dell’’oggetto, ma sono necessariamente unite al fenomeno.

Necessità di unificare le informazioni delle categorie
Ogni tipo di giudizio, anche il più elementare, presuppone infatti l’applicazione di diverse categorie che, separatamente, colgono caratteristiche particolari dell’oggetto percepito. Il soggetto però, nell’atto di conoscenza, non si rende conto dell’azione separata delle categorie, in quanto il giudizio sul fenomeno gli appare come un’unica informazione, non differenziata al suo interno.

Necessità di una sintesi logica dell’esperienza
Per impedire che l’intelletto umano si perda in questa varietà -che non distingua artificiosamente fra una cosa, il suo colore o altre caratteristiche osservabili attraverso le differenti categorie- occorre che l’intelletto sia dotato di una funzione sintetica capace di cogliere il legame oggettivo fra i fenomeni dell’esperienza.

Funzione dell’io penso
L’Io penso assolve a questa funzione. Senza l’io penso l’esperienza non potrebbe darsi come unitaria e non sarebbe possibile la conoscenza come esperienza sintetica. Tutto si risolverebbe in una confusione di informazioni sparse e giustapposte, rispetto alle quali l’intelletto si perderebbe senza cogliere il senso.

Unita esterna e unità interna
L’io penso garantisce non solo l’unità dell’esperienza esterna, ma anche di quella interna. Se infatti, da una parte, impedisce che la molteplicità delle percezioni sensibili comprometta l’immagine unitaria dell’esperienza, dall’altra consente a tutti i pensieri del soggetto di essere connessi l’uno all’altro, impedisce alla personalità di scindersi e moltiplicarsi in corrispondenza delle diverse percezioni. L’intera conoscenza di un individuo costituisce invece, grazie all’io penso, un unità oggettiva e coerente.

L’io penso è una funzione logica
L’io penso fonda quella percezione d’identità che un soggetto avverte quando riflette sull’insieme delle sue conoscenze. Si potrebbe pensare, allora, che l’io penso costituisca una realtà psicologica, dotata di natura sostanziale. In effetti, la formulazione kantiana dell’io penso, nella prima edizione della Critica della ragion pura, lasciava qualche dubbio in proposito. Nella seconda edizione dell’opera, però, il filosofo precisa la natura puramente logica, il carattere funzionale dell’io penso, che assolve a un compito di sintesi dell’esperienza percettiva.

8. Lo schematismo trascendentale

Funzione dello schema trascendentale
Kant introduce il concetto di schema per chiarire il criterio di applicazione delle categorie ai fenomeni dell’esperienza. La dottrina dello schematismo trascendentale permette di risolvere il problema del rapporto fra la natura intellettiva delle categorie e quella sensibile dei fenomeni. Come è possibile che le prime possano applicarsi ai secondi?

Lo schema come collegamento fra categorie e fenomeni
Lo schema non è altro che un ponte che ogni categoria elabora e applica ai dati sensibili. Lo schema agisce sul tempo, intuizione a priori della sensibilità e lo modifica secondo la natura propria della categoria (la categoria di sostanza, rispetto al tempo, si pone come ciò che rimane identico nei confronti del continuo variare dei fenomeni; la categoria di causalità individua nel tempo la successione del molteplice).
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni singificative
Deduzione trascendentale – Deduzione trascendentale delle categorie – Io penso – Sintesi logica dell’esperienza – Unità esterna e interna – Schema trascendentale
Domande

1) Che cosa intende Kant per deduzione trascendentale?

2) Quali aspetti della gnoseologia kantiana intende chiarire la deduzione trascendentale delle categorie?

3) Precisa la funzione dell’io penso.

4) Indica i motivi per cui l’attività sintetica dell’io penso è indispensabile per garantire l’unità dell’esperienza, interna e esterna.

5) Come si comporterebbe la personalità del soggetto conoscente se non vi fosse “l’unità sintetica originaria dell’appercezione”?

6) Per quale motivo Kant insiste sul valore logico dell’attività dell’io penso?

7) Precisa la differenza fra le due edizioni della Critica della ragion pura.

8) Che cos’è lo schema trascendentale?

9) Quale problema risolve?

10) Descrivi il modo in cui le categorie, attraverso lo schema, entrano in rapporto con i fenomeni.

9. La cosa in sé

Il noumeno
Abbiamo introdotto il concetto di noumeno alla fine del paragrafo [6.]. La sua elaborazione era infatti conseguente all’applicazione delle categorie al sensibile. Se l’oggetto è conosciuto solo dopo essere stato elaborato dalle categorie, è inevitabile interrogarsi sulla natura dell’oggetto non sottoposto a qualsiasi classificazione intellettuale.

Il concetto di noumeno (o di cosa in sé) è dunque una conseguenza logica della gnoseologia kantiana, in quanto si impone necessariamente una volta chiarita la funzione delle categorie dell’intelletto. E, di conseguenza, l’importanza filosofica di questo concetto rientra completamente nell’ambito di una discussione di carattere logico.

L’importanza filosofica del noumeno
Kant non può descriverci le caratteristiche d’essere del noumeno. Difatti una conoscenza della realtà noumenica è impossibile in quanto dovremmo afferrarla indipendentemente dalle categorie. Ma, è evidente, noi non possiamo conoscere senza utilizzare le categorie dell’intelletto; la cosa in sé rimarrà dunque un problema irrisolvibile per la mente umana.

Dal punto di vista filosofico, però, è più importante constatare quest’impossibilità logica di conoscenza piuttosto che risolvere il mistero ontologico del noumeno. Possiamo infatti precisare in maniera netta quei limiti della conoscenza umana, presupposto di tutta l’indagine kantiana; possiamo, altresì, individuare quali realtà sono accessibili alla conoscenza umana e quali, invece, sono destinate a rimanere irrisolte.

Il noumeno è la realtà intellegibile
Il noumeno, pur essendo inconoscibile, non è un’illusione o una fantasia, proprio perché lo possiamo ricavare per deduzione logica riflettendo sull’uso delle categorie. Rappresenta invece un oggetto inaccessibile all’intelletto umano, una realtà che si contrappone ai fenomeni percepiti. Si identifica dunque quella realtà intellegibile, o transfenomenica, che l’uomo ha sempre cercato, invano, di indagare.

Il problema della metafisica
Kant può allora affrontare la questione della metafisica; il noumeno, in quanto realtà intelligibile rappresenta l’oggetto specifico della disciplina. Il carattere sfuggente della cosa in sé, la sua inafferrabilità per l’intelletto umano, spiegano la difficoltà della metafisica di raggiungere risultati definitivi.

La Dialettica trascendentale
Nella Dialettica trascendentale, la seconda parte della Logica trascendentale, Kant intende affrontare proprio la questione della metafisica ed esaurire le questioni che aveva posto all’inizio dell’opera. Il termine dialettica intende sottolineare il carattere illusorio e ingannevole del sapere metafisico che, non avendo basi solide su cui fondarsi, è costretto a elaborare argomentazioni inconcludenti e sofistiche per affermare le proprie dottrine.
10. L’origine della metafisica

Ricorderete come Kant non intende solo denunciare il carattere ingannevole della metafisica, ma vuole anche spiegare perché i problemi di ordine metafisico costituiscono un’esigenza irrinunciabile per l’uomo. Egli deve dunque chiarire attraverso quale meccanismo l’uomo elabora domande di carattere metafisico, che lo spingono a indagare la realtà noumenica, dove le sue facoltà razionali non possono essere applicate.

La ragione in generale e la ragione speculativa
Kant introduce, a questo scopo, il concetto di ragione speculativa. In generale il termine ragione (Vernunft in tedesco) in Kant indica il complesso dell’attività conoscitiva umana. La “ragione pura” del titolo indica l’intera facoltà conoscitiva dell’uomo. In un senso più specifico , però, Kant usa il termine Vernunft per indicare anche una facoltà molto particolare della ragione umana, che compare proprio nella dialettica trascendentale.

La funzione della ragione speculativa
In questo uso specifico Vernunft (tradotto con ragione speculativa) indica una capacità dell’attività conoscitiva umana, che assolve un ruolo di sintesi analogo a quello dell’intelletto, prescindendo però dall’esperienza fenomenica. Mentre infatti le categorie dell’intelletto unificano il molteplice a partire dalla realtà sensibile, la ragione speculativa intende unificare gli stessi risultati frutto dell’attività dell’intelletto.
L’intelletto, per esempio, attraverso un elaborazione dei fenomeni naturali, sintetizza determinate leggi di natura fisica. La ragione sottopone queste leggi a un ulteriore sintesi, chiedendosi, per esempio, chi le ha volute, qual è il loro scopo nell’ordine universale.
La ragione speculativa pone infatti domande sul senso ultimo, sul significato universale delle cose; pretende allora di spingersi oltre i limiti delle categorie e di indagare direttamente la realtà noumenica.

Differenza fra intelletto e ragione speculativa
Intelletto e ragione speculativa assolvono a una medesima funzione: unificare dei dati. Solamente che l’intelletto unifica il molteplice sensibile e, quindi, è possibile verificare e fondare su un principio di realtà il suo operato; la ragione speculativa, invece, unifica delle conoscenze che sono già il frutto di un lavoro di sintesi e, di conseguenza, non possiede delle basi certe su cui fondarsi.

La metafisica come disposizione naturale
Possiamo capire adesso perché l’uomo si è sempre posto domande di ordine metafisico; è la sua stessa natura intellettiva che lo spinge a questo e che lo porta a desiderare risposte definitive sulla realtà. Tale esigenza è però, come vedremo, destinata a rimanere insoddisfatta.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA
Espressioni significative
Noumeno – Cosa in sé – Realtà intellegibile – Dialettica trascendentale – Ragione speculativa – Disposizione naturale

Domande

1) Definisci correttamente il concetto di noumeno.

2) Per quale motivo il noumeno indica i limiti della conoscenza umana?

3) Spiega perché il concetto di noumeno deriva necessariamente dalla teoria della conoscenza di Kant.

4) Qual è la funzione della ragione speculativa?

5) Perché il noumeno coincide con la realtà intellegibile?

6) Esponi gli argomenti della Dialettica trascendentale e spiega il collegamento fra il noumeno e l’analisi della metafisica.

7) Precisa la differenza fra la “ragione in generale” e la “ragione speculativa”.

8) Indica le analogie e le differenze fra l’intelletto e la ragione speculativa.

9) Per quale motivo la ragione speculativa permette di comprendere la metafisica come disposizione naturale?

11. Le idee della ragione

L’attività della ragione speculativa dà luogo a dei risultati chiamati da Kant “idee della ragione”. Queste, che rappresentano le conclusioni più alte del sapere metafisico, sono tre:
– l’idea di anima
– l’idea di mondo
– l’idea di Dio.
Ognuna di queste idee è il frutto di un’indebita speculazione su alcuni concetti elaborati dall’intelletto.

L’idea di anima
L’idea di anima è ottenuta dalla ragione attraverso un’indebita ontologizzazione dell’io penso (gli viene attribuito il carattere di sostanza). In altre parole, l’io penso, da funzione puramente logica, viene concepito come realtà psicologica individuale dotata di essere. Tale realtà costituirebbe l’anima; sull’idea di anima si fonda la disciplina metafisica della psicologia razionale.

L’idea di mondo
L’idea di mondo è ottenuta dalla ragione attraverso una sintesi arbitraria a partire dal concetto di natura. Quest’ultima, intesa come connessione dei fenomeni, è un concetto legittimo ricavato dall’intelletto sulla base dell’esperienza; non è giustificata, però, l’idea di mondo, ossia l’ipotesi di un cosmo o di un universo dotato di caratteristiche unitarie. Qualsiasi riflessione speculativa sull’idea di mondo dà luogo ad affermazioni contraddittorie, che denunciano l’infecondità del concetto.

La cosmologia razionale e le antinomie
La disciplina fondata sull’idea di mondo è la cosmologia razionale. Questa è formata da una serie di affermazioni sul mondo rispetto alle quali non è possibile prendere alcuna posizione, in quanto inverificabili.
Le antinomie sono una serie di quattro affermazioni contrapposte, simbolo di quel ragionare a vuoto della metafisica, mancando alla disciplina qualsiasi fondamento reale cui fare riferimento.

Le antinomie riguardano quattro problemi specifici:

1) l’infinità o la finità dell’universo

2) la divisibilità o l’indivisibilità del mondo

3) il rapporto fra causalità e libertà

4) la dipendenza del mondo da un essere necessario.

L’idea di Dio
L’idea di Dio, fondamento della teologia razionale, costringe Kant a confrontarsi con tutti i tentativi filosofici del passato di provare l’esistenza di Dio. Tali prove, secondo Kant, sono esercizi puramente concettuali e non possono affermare l’esistenza della divinità

I tre tipi di prova
Kant sintetizza le diverse prove della tradizione filosofica in tre modelli speculativi:

1) la prova ontologica
2) la prova cosmologica
3) la prova fisico-teologica

I criteri alla base di tali prove, erano considerati dalla tradizione filosofica fra loro irriducibili. I sostenitori della prova cosmologica (si pensi a Tommaso d’Aquino) intendevano opporsi ai sostenitori della prova ontologica, proponendo un modello di ragionamento alternativo.
La critica di Kant a tali prove -che erano state più volte esaminate da altri grandi filosofi- rappresenta una novità assoluta, in quanto coglie in tutte e tre le dimostrazioni un identico errore concettuale. La loro presunta diversità deve, allora, essere smentita.

La prova ontologica
Secondo questa prova l’esistenza di Dio sarebbe evidente già nel concetto di essere perfettissimo [si ripassi, a questo proposito, la formulazione di Anselmo d’Aosta]. Kant precisa ulteriormente una critica rivolta spesso, nel passato, ad Anselmo: la prova ontologica presuppone un passaggio indebito dal piano del pensiero a quello dell’essere.
Se il concetto contenesse già in sé l’esistenza, non sarebbe più un puro concetto; l’esistenza può essere aggiunta al concetto solo a partire dall’esperienza ma, non facendo Dio parte dell’esperienza, non si può affermare con certezza la sua esistenza.

La prova cosmologica
E’ la prova fondata sul rapporto di causa ed effetto, che ha in Tommaso d’Aquino il principale sostenitore: si estende la catena delle cause dal piano del mondo (fisico) alla causa prima (intellegibile). Kant contesta quest’ultimo passaggio, ritenendolo impossibile. Tale passaggio dalla causa fisica alla causa intellegibile presuppone, inoltre, la prova ontologica, perché afferma con necessità l’esistenza di una causa prima. Le due prove allora, in apparenza contrapposte sul piano del metodo, risultano in realtà coincidenti.

La prova fisico-teologica
Questa prova intende giustificare l’esistenza di Dio a partire dalla constatazione dell’ordine del mondo, che necessiterebbe di un ordinatore. Questo passaggio, però, dalla constatazione di un ordine sul piano fisico alla necessità di un ordinatore su un piano intellegibile, conduce ancora all’aporia della prova ontologica.

12. La funzione delle Idee della Ragione

Le idee della ragione non sono comunque inutili
In conclusione della Dialettica trascendentale, Kant individua una positività nelle idee della ragione, dopo avere negato loro qualsiasi validità teoretica.
La tendenza dell’uomo a porsi domande di ordine metafisico, anche se non può essere soddisfatta, presenta un’utilità, che si riflette positivamente nello sviluppo della sua conoscenza.

L’uso regolativo delle idee della ragione
Questa esigenza di universalità, questo desiderio di raggiungere una conoscenza definitiva ed esaustiva della totalità dell’essere, fa sì che l’uomo proceda senza interruzione e con entusiasmo sulla strada della conoscenza. Le idee della ragione infondono nell’uomo quella sete di conoscenza che lo spinge a indagare sempre più a fondo la realtà e che lo porta, pur nei limiti stabiliti dall’intelletto, a incrementare di generazione in generazione il proprio sapere.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Idee della ragione – Idea di anima – Psicologia razionale – Idea di mondo – Cosmologia razionale – Antinomie – Idea di Dio – Teologia razionale – Prova ontologica – Prova cosmologica – Prova fisico-teologica Uso regolativo delle idee della ragione
DOMANDE

1) Che cosa sono le idee della ragione?

2) Indica le idee della ragione e le discipline ad esse corrispondenti

3) Precisa l’errore da cui si origina la psicologia razionale.

4) Indica la differenza fra il concetto di natura e quello di mondo.

5) Che cosa sono le antinomie?

6) Qual è il contributo originale di Kant nell’interpretazione delle prove teologiche della tradizione.

7) Qual è l’errore, a parere di Kant, della prova ontologica?

8) Indica per quale aspetto compare, nella prove cosmologica e fisico-teologica, il medesimo errore presente nella prova ontologica.

9) Precisa il significato dell’ ”uso regolativo” delle idee della ragione.

LA CRITICA DELLA RAGION PRATICA

La struttura comune delle Critiche
Successivamente alla Critica della ragion pura, Kant scrisse altre due opere in cui applicava il metodo critico, per indagare ulteriori aspetti dell’esperienza umana. Le due opere successive, la Critica della ragion pratica e la Critica del giudizio, proprio per lo stesso metodo utilizzato, possiedono una struttura identica a quella della prima Critica.

L’Analitica e la Dialettica
Tutte e tre le opere comprendono una Analitica, in cui si descrivono gli elementi a priori di una determinata esperienza e una Dialettica, dove è possibile cogliere il concetto limite proprio di quel particolare ambito di ricerca.

Studiare le Critiche
Il metodo di studio per affrontare queste due opere deve fare riferimento a quanto già esposto a proposito della Critica della ragion pura. E’ necessario però cogliere, come momento ulteriore, l’unità strutturale delle tre opere, per poter effettuare confronti e dimostrare una padronanza adeguata dell’intera filosofia kantiana.

La Critica della ragion pratica
La Critica della ragion pratica, pubblicata nel 1787, ha per oggetto l’etica. Fin dai tempi della Critica della ragion pura, Kant aveva pensato di applicare il metodo critico a questa specifica problematica filosofica.

La ragione e l’azione
La ragione infatti, a parere di Kant, non governa unicamente la conoscenza, ma organizza anche l’azione, in quanto spinge l’uomo a realizzare determinati comportamenti.

Legittimità dell’analisi critica
E’ proprio questa preminenza della ragione rispetto all’agire che rende l’analisi critica adatta anche allo studio della problematica morale. Il criticismo, infatti, è il sistema migliore, a parere di Kant, per comprendere i principi alla base di qualsiasi attività razionale.

Anticipazioni nella Critica della ragion pura
Nella prima critica Kant aveva già accennato al problema morale, in particolare nella Dialettica trascendentale. A proposito del valore regolativo delle idee della ragione il filosofo, pur negando ad esse validità teoretica, ne aveva ribadito l’importanza, in quanto permettevano all’uomo di progredire nella conoscenza, e lo spingevano a una attività sempre maggiore. Tutta la realtà noumenica, del resto, era, secondo Kant, oggetto della curiosità teoretica dell’uomo e lo induceva, attraverso l’azione, a trovare delle motivazioni alla propria esistenza.

Gli elementi a priori della morale
Il criticismo applicato alla ragion pratica deve allora cogliere quegli elementi a priori dell’azione, capaci di rappresentare il modello etico per qualsiasi attività umana. Le condizioni a priori della morale si distinguono nettamente dai principi a priori dell’intelletto, esaminati nella Critica della ragion pura. Questi ultimi, infatti, possiedono un carattere vincolante, in quanto caratterizzano la natura intellettuale di ogni uomo che, in virtù della loro azione, riesce a definire e giudicare i fenomeni percepiti. Gli elementi a priori della morale, invece, non hanno un carattere coercitivo, in quanto qualsiasi individuo è libero di seguirli o meno.

La legge morale a priori
Kant è assolutamente convinto dell’esistenza di una legge morale a priori, valida per tutti e in qualsiasi condizione storica. Infatti o la morale non esiste e quindi l’uomo agisce per puri interessi utilitaristici, oppure esiste ed ha una validità incondizionata.

La libertà di azione
La morale presuppone da una parte la libertà di agire, quindi il poter accettare o rifiutare i principi etici che la ragione ci suggerisce, dall’altra la necessità universale della legge, cioè il carattere vincolante di tali principi.

RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Domande

1) Precisa la struttura comune alla tre Critiche di Kant.

2) Di quale argomento tratta la Critica della ragion pratica?

3) Quali anticipazioni del problema morale compaiono nella Critica della ragion pura?

4) Indica i motivi per cui, a parere di Kant, il metodo critico è adatto ad affrontare la problematica morale.

5) Distingui le caratteristiche degli “elementi a priori dell’intelletto” e “della morale”.

6) Esiste, secondo Kant, una legge morale universale? con quali motivazioni la può sostenere?

7) Spiega perché la “libertà d’agire” è un presupposto necessario della morale.
1. L’Analitica della ragion pratica

L’uomo fra sensibilità e ragione
La questione della moralità riguarda esclusivamente l’uomo, in quanto la natura umana si colloca fra la dimensione della sensibilità e quella intellettuale della ragione; sensibilità e ragione sono fra loro in conflitto e, quindi, rendono problematico l’agire dell’uomo. Se, infatti, l’uomo fosse solamente sensibilità, la sua natura corrisponderebbe a quella di qualsiasi animale e le sue azioni sarebbero motivate unicamente dall’istinto; è evidente che un’azione istintiva non può essere oggetto di valutazione morale. Se l’uomo, invece, fosse solo ragione, non avvertirebbe alcun condizionamento sensibile e praticherebbe la santità.

Sensibilità e ragione rendono critico l’agire umano
L’uomo, invece, è portato da una parte a cedere agli stimoli della sensibilità, che lo seducono e lo spingono verso un piacere immediato; dall’altra parte, la ragione induce l’uomo ad andare oltre tale immediatezza e rifuggire la superficialità dei sensi, per cogliere verità e principi ben altrimenti durevoli.

La morale
La dottrina morale è l’insieme di quei principi attraverso i quali la ragione si oppone all’immediata soddisfazione delle sollecitazioni dei sensi e mira a regolarne la soddisfazione, in vista di un ideale etico superiore.

Caratteristiche della legge morale a priori
La legge morale formulata dalla ragione, in quanto a priori, deve possedere un carattere universale e oggettivo e quindi valere per ogni soggetto, in qualsiasi situazione si trovi, indifferente alla particolarità delle condizioni storiche. Secondo Kant, allora, non può esistere una morale soggettiva, proprio perché, se così fosse, non potrebbe valere universalmente e perderebbe il suo carattere razionale.

Le massime e gli imperativi
Kant distingue, fra le varie indicazioni della ragione riguardo l’agire, le massime dagli imperativi. Le prime, soggettive, riguardano il singolo in situazioni determinate e non possono avere un carattere universale; i secondi, invece, hanno un valore assoluto e, quindi, si identificano con la legge morale.

Imperativi ipotetici
Vi sono due tipi di imperativi: gli imperativi ipotetici hanno sì una validità universale, ma limitata a condizioni particolari. La proposizione “se vuoi conservare la salute devi evitare gli eccessi” è sicuramente valida universalmente, in quanto può essere applicata a tutti gli esseri umani nelle diverse condizioni storiche e sociali; riguarda però un problema specifico e non può allora coincidere con la legge morale universale.

Gli imperativi categorici
Gli imperativi categorici, invece, hanno il vantaggio di valere universalmente e, nello stesso tempo, non si riferiscono ad alcun problema specifico. Sono validi, dunque, per qualsiasi tipo di azione e in ogni contesto storico e personale. L’imperativo categorico si identifica, allora, con la legge morale.

Il carattere formale della morale kantiana
Come è possibile che una formula priva di qualsiasi indicazione specifica riguardo al comportamento possa valere come norma morale? L’imperativo categorico, in effetti, non indica mai che cosa si deve o non si deve fare; se lo facesse, darebbe indicazioni specifiche e contingenti che non potrebbero valere universalmente. E’ dunque un’asserzione puramente formale, che non riguarda che cosa fare, ma come lo si deve fare.

Il rigorismo
Il carattere formale dell’imperativo categorico evidenzia la sua assoluta razionalità. Non vi è spazio, nell’etica kantiana, per le emozioni e i sentimenti che, in quanto esperienze soggettive, comprometterebbero l’universalità della legge morale. Il comportamento morale implica unicamente il rispetto della legge, l’incondizionato assenso nei confronti dell’imperativo della ragione.

Il dovere
L’unico sentimento previsto dalla morale kantiana è il senso del dovere, l’assoluto rispetto per la norma razionale. Senza una personale condivisione dell’imperativo non ci sarebbe morale: non è morale ciò che si fa, ma l’intenzione con cui lo si fa, essendo la volontà positiva una convinta adesione della persona alla legge.

Legalità e moralità
Kant distingue, a questo proposito, legalità e moralità. La prima è il rispetto per la legge dovuto a cause esterne, in particolare il timore di incorrere in una sanzione; la seconda è l’adesione incondizionata alla legge, cui ci si sottomette per il rispetto ad essa dovuto.

Le caratteristiche comuni degli imperativi categorici
Kant propone tre formule di imperativo categorico, le quali possiedono tutte una concezione comune dell’agire: una rinuncia totale all’egoismo. Ogni volta che si compie un’azione, bisogna sempre tenere presenti gli altri; il comportamento sarà conforme alla legge morale se si constata la possibilità di poterlo generalizzare senza limiti. Se l’azione che si compie può essere eseguita da qualsiasi uomo senza arrecare danno ad alcuno, allora il comportamento rimane fedele alle prescrizioni morali della ragione.

La prima formula dell’imperativo categorico
“Agisci come se la massima della tua azione dovesse diventare, per tua volontà, legge universale della natura”. E’ evidente come tale formula imponga, al soggetto agente, il riconoscimento delle altre soggettività. Solamente se la propria azione può diventare una legge universale, allora è esente da qualsiasi egoismo e estendibile a tutti gli altri soggetti.

Ancora sulla formalità
Un’analisi di questo primo imperativo permette di comprendere come la formalità kantiana non implichi una scarsa aderenza alle situazioni pratiche; secondo la morale di Kant, ogni volta che si compie un’azione occorre chiedersi se essa sia universalizzabile, Se la risposta è affermativa, si dispone di un criterio certo per valutare, dal punto di vista etico, il proprio comportamento.

La seconda formula dell’imperativo categorico
“Opera in modo da trattare l’umanità, nell’altrui come nella tua persona, sempre come fine e mai come mezzo”. Questa seconda formula non si discosta, nel suo significato generale, dalla prima. Eppure le tre formule, anche se sottolineano un identico concetto, ribadiscono ciascuna un particolare carattere della ragione pratica. In questo caso l’accento è posto sulla considerazione che è necessario avere degli altri soggetti.

Che cosa intende Kant per “universalità della morale”
L’universalità che bisogna ricercare nell’azione, allora, non riguarda principi astratti o opinioni particolari, rispetto alle quali realizzare una convergenza; per universalità, Kant intende il riconoscimento dell’altrui dignità, da valorizzare e rispettare quanto la nostra.

La terza formula dell’imperativo categorico
“Agisci in modo che la volontà possa considerare se stessa, mediante la sua massima, come universalmente legislatrice”. Questa terza formula, come si vede, è molto simile alla prima. Sottolinea però, in maniera più approfondita, un aspetto che è fondamentale nella critica kantiana: l’autonomia e la libertà dell’uomo in campo morale.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Sensibilità – Ragione – Legge morale a priori – Massime – Imperativo ipotetico – Imperativo categorico – Carattere formale – Rigorismo – Dovere – Le tre formule dell’imperativo categorico
Domande

1) Chiarisci la particolare situazione dell’uomo, in bilico tra sensibilità e ragione.

2) Che cosa accadrebbe se l’uomo fosse solo sensibilità? o solo ragione?

3) Perché la morale implica sia l’attrazione verso il sensibile sia la capacità di giudizio razionale?

4) Quali sono le caratteristiche della legge morale a priori?

5) Perché non può esistere, a parere di Kant, una morale soggettiva?

6) Distingui fra massime e imperativi.

7) Spiega la differenza fra l’imperativo ipotetico e l’imperativo categorico.

8) Per quale motivo solo l’imperativo categorico può identificarsi con la legge morale?

9) Chiarisci che cosa s’intende per carattere formale dell’etica di Kant.

10) Che cos’è il rigorismo kantiano?

11) Perché, nell’etica kantiana, è centrale il concetto di dovere?

12) Distingui fra legalità e moralità.

13) Descrivi l’aspetto comune alle tre formule dell’imperativo categorico.

14) Riprendi le tre formule dell’imperativo categorico ed evidenzia il carattere particolare di ciascuna.

15) Come si deve interpretare il concetto di universalità, alla luce soprattutto della seconda formula dell’imperativo categorico?
2. La Dialettica della ragion pratica

Il concetto limite della ragion pratica
Analogamente alla Critica della ragion pura, anche la Dialettica della ragion pratica muove da un concetto limite, che si ricava logicamente da quanto affermato nell’Analitica ma che, nel contempo, non è sperimentabile dall’uomo. In ambito conoscitivo tale concetto era il noumeno, che rappresentava il limite gnoseologico dell’intelletto umano; in ambito morale è, invece, il Sommo bene.

La morale non sempre implica la felicità
Abbiamo visto come spesso l’attuazione della legge morale comporta un rifiuto del piacere sensibile. Tale negazione di un soddisfacimento egoistico si concretizza in quanto il soggetto, che condivide l’imperativo morale della ragione, si adegua alla legge. Vi sono quindi casi in cui un soggetto, per realizzare la moralità, deve rinunciare a una sua personale soddisfazione. Non sempre, dunque, la realizzazione dell’ideale morale comporta la felicità del soggetto.

Qual’è il tipo di vita maggiormente desiderabile?
Se ci chiedessimo qual è l’ideale di vita maggiormente desiderabile, dovremmo logicamente rispondere che è quello in cui si rimane fedeli ai principi morali della ragione senza vedere, contemporaneamente, compromessa la propria felicità. La condizione umana sommamente preferibile è, allora, quella in cui si coniugano virtù e felicità.

Il Sommo bene
Il Sommo bene è l’unione di virtù e felicità, la condizione cui aspira ogni uomo. Ma, come è facile comprendere, tale unione è irrealizzabile su questa terra, dove la virtù comporta quasi sempre la rinuncia alla propria felicità.

L’antinomia etica
Questa inconciliabilità fra virtù e felicità costituisce l’antinomia etica, una contraddizione irrisolvibile analoga alle antinomie della ragione pura [cfr. p.20].

Come sciogliere l’antinomia
L’unico modo per sciogliere tale antinomia consi­ste nel postulare un mondo nell’al di là nel quale possa realizzarsi quell’unione che, durante la nostra vita, risulta impossibile.

I postulati della ragion pratica
Il termine postulato viene inteso da Kant nel significato proprio della geometria: i postulati sono delle proposizioni non dimostrabili, senza le quali non sarebbe possibile accogliere particolari verità o entità geometriche. In campo etico sono delle esigenze proprie della morale, impossibili da dimostrare, ma accettate in quanto, senza di esse, non sarebbe possibile la stessa moralità.

I tre postulati della ragione pratica
I tre postulati della ragione pratica sono: l’im­mortalità dell’anima, l’esistenza di Dio e la libertà.

L’immortalità dell’anima
Tale postulato si impone in base alla considerazione che l’uomo non potrà mai, nel tempo determinato che gli è concesso vivere, realizzare il sommo bene. Bisogna allora ammettere un tempo infinito in cui sia possibile all’anima progredire verso la santità, lo stato che indica il raggiungimento del sommo bene.

L’esistenza di Dio
Il secondo postulato è giustificato da Kant in base a motivazioni non dissimili da quelle comprovanti l’immortalità dell’anima: la necessità che l’uomo riesca ad adeguare la felicità alla virtù, comporta l’esistenza di Dio, il quale è in grado di far corrispondere la virtù al merito.

I primi due postulati
Molto spesso, alcuni studenti rimangono sconcertati di fronte a questi due postulati, in cui Kant sembra voler imporre dogmaticamente ciò che in precedenza aveva negato nel suo valore conoscitivo. Per evitare questo fraintendimento, ricordate come Kant non vuole affermare, dal punto di vista teoretico, l’esistenza dell’anima e di Dio, ma unicamente sottolineare come questi concetti siano indispensabili per fondare una dottrina morale, per motivare l’uomo all’azione senza peraltro togliergli alcuna responsabilità in merito al proprio comportamento.

La libertà
Il terzo postulato ha un valore differente dai primi due: questi difatti si desumono dall’antinomia etica della ragion pratica e la risolvono fornendo un ulteriore fondamento alla dottrina morale. Il terzo postulato, invece, non si ricava logicamente a partire dalla legge morale a priori teorizzata nell’Analitica, in quanto è il presupposto stesso di questa legge, la precede e la rende possibile. Se l’uomo infatti non fosse libero, non sarebbe nemmeno possibile parlare di morale.

Il primato della ragion pratica
Abbiamo visto come la ragione pratica permette di recuperare dei concetti che Kant aveva negato dal punto di vista teoretico. Questa capacità della ragione morale di ammettere, senza mai affermarne l’esistenza, tali realtà è indice del suo primato. In particolare, la ragione pratica, ampliando il punto di vista umano rispetto a quanto permette la ragione pura, apre all’uomo ulteriori possibilità di azione che, senza contraddire l’intelletto, gli consentono, in quei settori dell’esperienza in cui è impossibile possedere delle certezze, di agire secondo un’ottica razionale.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Virtù e felicità – Sommo bene – Antinomia etica – Postulati della ragion pratica – Immortalità dell’anima – Santità – Esistenza di Dio – Libertà – Primato della ragion pratica
Domande

1) Introduci e spiega il concetto di sommo bene.

2) Per quale motivo il comportamento morale spesso impedisce il raggiungimento della felicità?

3) Qual è il tipo di vita maggiormente desiderabile?

4) Introduci l’antinomia etica e proponi un parallelismo con il concetto di antinomia, quale si ritrova nella Critica della ragion pura.

5) Chiarisci come Kant intende il concetto di postulato.

6) Quali sono i tre postulati della ragion pratica?

7) Per quali motivi bisogna ammettere, dal punto di vista morale, l’immortalità dell’anima?

8) Che cosa s’intende per santità?

9) Riprendi le argomentazioni a favore del secondo postulato.

10) I primi due postulati comportano una modificazione delle teorie gnoseologiche esposte nella Critica della ragion pura?

11) Illustra il particolare carattere del terzo postulato nei confronti degli altri due.

12) Qual è il valore della libertà?

13) Che cos’è il primato della ragion pratica?

LA CRITICA DEL GIUDIZIO

Il sentimento
La Critica del giudizio, pubblicata nel1790, è la terza opera in cui Kant applica la filosofia critica e ha per oggetto il sentimento, una facoltà dell’uomo, che incide in maniera significativa sulla vita umana.

Distacco dalla tradizione
Kant si allontana, in questo modo, dalla tradizione filosofica, che aveva sempre individuato due grandi ambiti dell’esperienza umana, quello teoretico e quello pratico. In effetti, mentre la Critica della ragion pratica era stata progettata da Kant contemporaneamente all’elaborazione del metodo critico, la Critica del giudizio fu pensata solo successivamente, nel momento in cui Kant si convinse che il sentimento non era riducibile alla sfera pratica.

Illuminismo inglese e preromanticismo
Probabilmente fu l’approfondimento dell’illuminismo inglese (Mandeville, Smith, Shaftesbury, Hume) e l’influenza della cultura preromantica, allora al suo sorgere, che portò il filosofo a dedicarsi con maggiore attenzione all’indagine del sentimento.

La finalità del reale
Il sentimento consente all’uomo di percepire la finalità del reale, un’esperienza impossibile da acquisire a livello conoscitivo. Infatti, come si ricorderà, le categorie dell’intelletto individuano nell’oggetto delle specifiche caratteristiche e si limitano, quindi, a una semplice descrizione. Rimane impossibile all’intelletto, allora, determinare la finalità degli oggetti percepiti.

Il finalismo nella Critica della ragion pratica
Nella Critica della ragion pratica la finalità viene recuperata attraverso i postulati. Ciò che l’uomo è impossibilitato a conoscere, viene ammesso per necessità morale. Questo finalismo, però, è suggerito dalla ragione in base a conclusioni logico- intellettuali e non invece percepito distintamente dal singolo individuo, il quale si adegua a quanto la propria facoltà razionale gli suggerisce.

Il finalismo nella Critica del giudizio
Il sentimento, invece, permette all’uomo di percepire la finalità naturale, poiché lo coinvolge a livello emotivo e modifica il suo stato di coscienza. E’ dunque un’esperienza reale anche se, al pari di quella pratica, non può avere alcun valore conoscitivo.

La riflessione
Il sentimento si origina, infatti. attraverso una riflessione che il soggetto compie sugli oggetti già classificati dalle categorie dell’intelletto. E’ successivo, dunque, al momento conoscitivo.

Lo scopo della riflessione
Il soggetto, attraverso le categorie dell’intelletto, individua le caratteristiche specifiche dell’oggetto che permettono di distinguerlo dalla molteplicità del sensibile; il sentimento, invece, ha una finalità opposta: non intende più isolare l’oggetto dagli altri fenomeni sensibili, ma vuole invece cogliere in esso un accordo con l’universale.

Sentimento e moralità
In altre parole, il sentimento intende valutare se i fenomeni possano armonizzarsi con la finalità propria della vita etica, se il mondo nella sua totalità sia in accordo con l’esigenza umana di universalità e perfezionamento morale. L’uomo può così cogliere negli oggetti non solo la loro specifica identità, ma anche quell’ordine universale capace di dare un senso alle proprie azioni.

Sentimento e libertà
La natura conferma allora all’uomo la propria libertà; l’oggetto non è più un limite esterno che denuncia l’insufficienza della propria facoltà conoscitiva, ma consente di percepire la possibilità di proseguire indefinitamente sulla strada della propria realizzazione morale.

Soggettività del sentimento
Ovviamente, l’esperienza appena descritta è puramente soggettiva. Coinvolge, cioè, il singolo soggetto e non ha quell’universalità ed evidenza proprie del giudizio intellettuale. Difatti, mentre gli oggetti vengono catalogati dalle categorie in modo identico per ogni uomo, la riflessione rimane un’attività personale, che riguarda le esigenze personali e l’intimità psicologica del soggetto.

Nessun valore conoscitivo
Il carattere soggettivo impedisce al sentimento di avere valore conoscitivo, proprio perché l’esperienza sentimentale coinvolge solo il singolo soggetto e non è comunicabile. Se infatti fosse comunicabile, l’esperienza sentimentale si trasformerebbe in una sintesi concettuale (si dovrebbe infatti ridurre a concetto e comunicare attraverso le parole) e perderebbe le sue principali caratteristiche.

Il giudizio determinante
Kant chiama giudizio determinante quello prodotto dall’intelletto attraverso le categorie, già esaminato nella Critica della ragion pura. Questo giudizio coglie e determina gli aspetti oggettivi che costituiscono il fenomeno.

Il giudizio riflettente
Al giudizio determinante si contrappone il giudizio riflettente, che è quello proprio del sentimento e che, coma già abbiamo detto, si applica al fenomeno già definito dall’intelletto e ne coglie la finalità, ossia l’accordo con l’universalità del reale.

Giudizio estetico e teleologico
Il giudizio riflettente si divide, ulteriormente, in giudizio estetico e giudizio teleologico.

RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Sentimento – Finalità del reale – Riflessione – Accordo con l’universale – Sentimento, moralità e libertà – Soggettività del sentimento – Inefficacia conoscitiva del sentimento – Giudizio determinante – Giudizio riflettente
Domande

1) Qual è l’argomento della terza Critica di Kant?

2) Precisa i motivi per cui Kant, considerando il sentimento come facoltà autonoma, si distacca dalla tradizione filosofica.

3) Quando Kant decise la stesura della terza Critica?

4) A quale tradizione filosofica si richiamò?

5) Chiarisci in modo opportuno l’oggetto del sentimento.

6) Precisa la differente valutazione di Kant sul finalismo, nelle tre diverse critiche.

7) In quale diverso modo si esperisce il finalismo in ambito morale e in ambito sentimentale?

8) Il sentimento è un’esperienza reale del soggetto?

9) Perché, allora, non ha valore conoscitivo?

10) Spiega che cos’è la riflessione e indicane lo scopo.

11) Precisa i rapporti fra sentimento e moralità…

12)…e fra sentimento e libertà.

13) Per quale motivo il sentimento è un’esperienza soggettiva?

14) Chiarisci la differenza fra giudizio determinante e giudizio riflettente.

1. I due Giudizi della terza Critica

Perché il criticismo?
Abbiamo detto che il sentimento è un’esperienza di carattere emotivo che permette di percepire ciò che la ragione ha ammesso in ambito morale. Non essendo quindi un’attività prodotta direttamente dalla ragione, ci si può chiedere se è legittimo, da parte di Kant, utilizzare, per esaminarla, il metodo critico.

Giudizio estetico e giudizio teleologico sono giudizi puri
Le due parti in cui si divide il giudizio riflettente (estetico e teleologico) sono, secondo Kant, dei giudizi puri. Questo significa [si ricordi il significato dell’aggettivo “pura” nel titolo della prima Critica] che derivano a priori dalla nostra mente; se la definizione di criticismo vede in questo concetto il metodo d’indagine più adatto per analizzare le forme a priori della mente risulta, di conseguenza, idoneo per indagare anche il sentimento.

Illuminismo di Kant
Kant, nella Critica del giudizio, affronta alcuni concetti che saranno propri della filosofia romantica [cfr. cap.2], quali il sentimento, il bello, il sublime. Kant però, nell’affrontare tali tematiche, che fanno riferimento alla sfera emotiva e personale dell’individuo, non rinuncia, al contrario di quanto faranno gli intellettuali romantici, ad un’impostazione analitica di tipo razionalistico. Secondo il filosofo, infatti, i sentimenti del bello o del sublime si originano da una particolare attività della nostra mente, che è possibile descrivere in modo analitico.

Giudizio estetico e giudizio teleologico
La Critica del giudizio è dedicata all’analisi delle due forme di giudizio riflettente. Conviene, prima di addentarsi nell’analisi particolare di ciascuno, riassumerne le differenze di carattere generale.

Giudizio estetico e giudizio teleologico sono le due forme del sentimento, ma la prima è di carattere intuitivo e spontaneo e viene colta immediatamente nell’oggetto, la seconda è, invece, frutto di più lunga riflessione e si origina attraverso un processo di concettualizzazione.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Domande

1) Precisa i motivi per cui la filosofia critica è adatta anche allo studio del sentimento.

2) Che cosa significa l’espressione “giudizi puri”?

3) Per quale motivo Kant, nell’affrontare la tematica del sentimento, si rivela essere ancora un intellettuale di formazione illuministica?

4) Precisa la differenza di carattere generale fra giudizio estetico e giudizio teleologico.

2. Il giudizio estetico
Il termine “estetico” nella Critica della ragion pura…
Abbiamo già incontrato quest’espressione nell’analisi della Critica della ragion pura e, in particolare, della sezione intitolata Estetica trascendentale. In quell’ambito il termine si riferiva ai fenomeni in quanto oggetto di sensazione: l’apparire dei fenomeni, il loro manifestarsi ai sensi, costituiva la dimensione estetica che Kant si proponeva di indagare.

…e nella Critica del giudizio

Nell’opera che stiamo esaminando, invece, il termine “estetico” si riferisce al problema dell’arte e della bellezza: si tratta di stabilire i motivi per cui ciò che appare viene giudicato bello dalla nostra mente e suscita particolari emozioni nel nostro animo.

Il bello
Il concetto di bello è l’espressione più tipica del giudizio estetico: esso nasce da una riflessione sugli oggetti percepiti come appaiono alla rappresentazione. Poiché l’oggetto ci appare secondo i gruppi in cui si suddividono le categorie dell’intelletto, Kant ci offre una definizione di bellezza a partire da ciascuno di essi.

Le definizioni di bello
.  Secondo la qualità il bello è l’“oggetto di un piacere senza alcun interesse”.

.  Secondo la quantità il bello è “ciò che piace universalmente, senza concetto”.

.  Secondo la relazione il bello è percepito come “finalità senza scopo”.

–  Secondo la modalità il bello è “ciò che, senza concetto, è riconosciuto come oggetto di piacere necessario”.

Piacere disinteressato
Da queste definizioni possiamo trarre una prima caratteristica rilevante del bello: il compiacimento che esso suscita nell’animo umano non deve riferirsi ad alcun interesse concreto del soggetto; deve essere, cioè, un piacere disinteressato, motivato unicamente dall’impressione che il dato percettivo esercita sulla nostra mente.

Universalità del bello
Quest’altra convinzione kantiana, che ricava dalle quattro definizioni, appare più problematica. Il bello deve essere oggetto di piacere universale; è sì un sentimento soggettivo, in quanto personale, ma deve raccogliere il consenso di tutti. La bellezza, secondo Kant, obbedisce allora a un principio ideale che deve essere riconosciuto dalla nostra sensibilità estetica.

Soggettività del gusto
Come si spiega allora che, in merito alla bellezza, possono esservi diversi pareri? Kant, pur non negando la soggettività del giudizio estetico, sembra distinguere fra un modo corretto e uno scorretto di giudicare, dal punto di vista della bellezza, i fenomeni.

Piacevole e piacere estetico
Kant distingue fra il piacevole, che è la forma di compiacimento propria dei sensi, dal piacere estetico, il quale non coglie tanto i singoli aspetti sensibili, bensì una forma che chiamiamo bella.Tutte le volte che il giudizio di bellezza si fonda su criteri di natura sensibile (in particolare i giudizi di ordine fisico), esso perde la sua purezza. Il piacere estetico è invece qualcosa di puro che scaturisce dalla sola contempla­zione della forma (fiori, paesaggi, ecc.).

Bellezza libera e bellezza aderente
Legata a questa distinzione è anche la differenza fra bellezza libera e bellezza aderente. Quest’ultimo è un criterio di bellezza riferito ad uno specifico fenomeno (un edificio, un vestito) e, proprio perché implica una valutazione anche di ordine pratico, non può mai dare luogo a un giudizio estetico puro.

La bellezza libera invece, è quella che viene apprezzata senza che la mente faccia riferimento ad alcun concetto (una melodia, un ornamento) ed è quindi completamente pura.
RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Estetica – Bellezza – Piacere disinteressato – Universalità del bello – Soggettività del gusto – Piacevole – Piacere estetico – Bellezza libera – Bellezza aderente
Domande

1) Precisa il differente significato che il termine “estetico” possiede nelle Critica della ragion pura e nella Critica del giudizio.

2) Per quale motivo Kant propone una definizione di bello per ogni gruppo delle categorie?

3) Riassumi le quattro definizioni proposte da Kant.

4) Che cosa s’intende con l’espressione: “piacere disinteressato”?

5) Quale problema pone la convinzione kantiana dell’universalità del giudizio estetico?

6) In che misura Kant ammette la soggettività del gusto?

7) Precisa la differenza fra piacevole e piacere estetico.

8) Distingui fra bellezza libera e bellezza aderente.

3. Il sublime
Il sublime è l’altra forma di giudizio estetico; a differenza della bellezza, il sentimento prodotto dal sublime è di inadeguatezza nei confronti dell’oggetto. La bellezza suscita un compiacimento positivo, in quanto individua una norma ideale nei fenomeni. mentre il sublime provoca, ambiguamente, sia un senso di timore sia di piacere.

Angoscia
Di fronte alla consapevolezza della smisurata superiorità del fenomeno percepito, si avverte un senso di angoscia e di paura; siamo invasi da un sentimento di dispiacere, in quanto la nostra mente non riesce ad abbracciare le grandi bellezze che percepisce.

Piacere
Successivamente, però, la nostra mente, proprio in ragione di tale inadeguatezza, è portata a riflettere sull’infinità. E allora l’uomo, pur così limitato dal punto di vista fisico, può immaginare una realtà superiore a qualsiasi altra e, in questo modo, si dimostra un essere superiore. Grazie a questa consapevolezza, il dispiacere inizialmente provato si trasforma in piacere e compiacimento per la propria natura spirituale.

Il sublime matematico e sublime dinamico
Il sublime matematico è provocato dalla spropositata grandezza della natura rispetto al nostro essere, mentre il sublime dinamico è prodotto dalla visione di un fenomeno di smisurata potenza.
RIPASSO DELLE PARTI LETTE

Espressioni significative
Sublime – Inadeguatezza verso il fenomeno – Sentimento contrastante – Superiorità dell’uomo – Sublime matematico – Sublime dinamico
Domande

1) Definisci il sublime.

2) Descrivi il doppio sentimento suscitato dal sublime e esponine le motivazioni.

3) Per quale motivo l’uomo avverte di essere superiore?

4) Spiega le differenza fra sublime matematico e sublime dinamico.

4. Il Giudizio teleologico
Il giudizio teleologico
Il giudizio teleologico, analogamente a quello estetico, individua nel fenomeno percepito dall’intelletto una finalità, che però è elaborata concettualmente e non colta immediatamente. Il concetto di fine viene applicato dalla mente al fenomeno, per coglierne lo scopo.

Soggettività del giudizio teleologico
Il giudizio teleologico, in quanto riflettente, è soggettivo. E’ il singolo soggetto, infatti, che, attraverso la riflessione, individua una finalità nei fenomeni; di conseguenza, anche il giudizio teleologico non possiede alcun valore conoscitivo.

Insufficienza dell’interpretazione naturalistica
Il giudizio teleologico si origina da un’esigenza di superare i limiti propri della scienza naturalistica, Questa, infatti, ci consente di conoscere con precisione le caratteristiche dei fenomeni, ma non ci rivela lo scopo del loro esistere.

Intelligenza superiore
Sorge allora spontaneo ammettere l’esistenza di un intelligenza superiore, da considerare causa della natura; essa agirebbe secondo fini cui obbedirebbero i fenomeni. Ovviamente Kant non si propone di dimostrare l’esistenza di Dio -tentativo per lui impossibile- , ma vuole unicamente affermare come la presenza di una finalità, che non possiamo comprendere, deve essere pensata come fondamento di molti fenomeni naturali da noi percepiti.

Il giudizio meccanicistico
Il giudizio teleologico si contrappone al giudizio meccanicistico proprio del naturalismo [vd. sopra la definizione di meccanicismo]. Quest’ultimo si limita a spiegare il funzionamento dei fenomeni naturali ma non può coglierne i fini, poiché il giudizio teleologico non può essere ridotto a criteri puramente meccanici.

Complementarità dei due giudizi
Eppure i due giudizi, fra loro così diversi, possono coesistere, anzi, l’uno senza l’altro darebbe un quadro approssimativo della realtà. Infatti, anche se si dimostrasse la verità teleologica, ci sarebbe sempre bisogno della spiegazione meccanicistica per comprendere come l’Essere supremo ha organizzato la realtà da Lui creata; parimenti, la spiegazione meccanicistica, non potendo individuare gli scopi dei fenomeni, ha sempre bisogno di una considerazione ulteriore, di tipo finalistico.

RIPASSO DELLA PARTE LETTA

Espressioni significative
Giudizio teleologico – Soggettività del giudizio teleologico – Interpretazione naturalistica – Giudizio meccanicistico
Domande

1) Definisci il giudizio teleologico.

2) Spiega il motivo per cui anche il giudizio teleologico è un giudizio soggettivo.

3) Per quale motivo il giudizio teleologico è un’esigenza umana ineliminabile?

4) Che cosa si può dire, riflettendo sul concetto di fine, a proposito dell’esistenza di un’Intelligenza superiore?

5) Spiega che cos’è un giudizio meccanicistico.

6) Per quale motivo i giudizi teleologico e meccanicistico, pur opposti, si implicano fra loro?