Stanley Kubrick e il 700
Si tratta dell’introduzione a un libro progettato su Kubrick, poi rinviato sine die per altri impegni editoriali che mi tengono occupato. Oltre alla presente introduzione(evidentemente da ritoccare, sulla base della scrittura dei capitoli conclusivi) per ora è realizzato solo il capitolo su “2001 Odissea nello spazio”. Ho iniziato -e spero quanto prima di terminare, se il tempo mi assiste- quello su “Arancia meccanica”. Poiché la trasformazione in prodotto editoriale mi sembra quanto mai utopica, ho deciso di pubblicare sul sito quanto da me sino ad ora prodotto.
Per la struttura concepita dell’intero testo, rimando all’introduzione di “2001 Odissea nello spazio”
Kubrick e il XVIII secolo Il proposito del presente studio è quello di indagare l’importanza, nell’opera di Stanley Kubrick, della riflessione sul secolo XVIII. Si tratta di un aspetto della poetica del regista sempre sottolineato nelle diverse e numerose opere a lui dedicate; utilizzare però il ‘700 come principio ermeneutico per penetrare in modo articolato nella filmografia kubrickiana, nel tentativo di dipanarne la complessità, è un’intenzione di manifesta arbitrarietà che, nel suo carattere esclusivo, privilegia un solo aspetto dell’opera del regista, escludendo altre interessanti – magari più rilevanti – ipotesi di lettura.
Vorrei proporre un’analisi della filmografia di Kubrick in base a una concezione prospettivistica della conoscenza, tesa ad escludere cioè un unico senso possibile di ogni fenomeno, per favorire invece le ricerche che, ponendosi in un’ottica parziale e privilegiata, riescono a dare una giustificazione razionale dell’esperienza a partire da un contesto specifico assunto in modo esclusivo. Questa scelta consente – in questo caso – di rintracciare nelle opere del regista la centralità di alcune tematiche e, in particolare, la presenza di un approccio problematico alla condizione umana, simile a quello proposto dalla riflessione filosofica e culturale del secolo XVIII.
Con ‘700 intendo esclusivamente riferirmi – come credo sia intenzione anche di Kubrick – all’avventura intellettuale dell’illuminismo; grazie a tale rinnovamento della cultura, il secolo diciottesimo viene sintetizzato dalla vulgata storica come il secolo della ragione, nel corso del quale numerosi intellettuali, sfidando gli ormai declinanti assunti del sapere tradizionale – capace comunque di identificarsi con un potere concreto, in grado di reprimere con crudezza coloro che osavano contrapporglisi – vollero estendere le possibilità investigative della ragione scientifica a tutti gli ambiti dell’esperienza umana; consapevoli certo dei limiti che la ragione stessa poteva incontrare in particolare nelle questioni relative alla scienze umane, ma convinti che fosse comunque l’unico strumento possibile per impostare i problemi dell’esperienza in modo razionale, ricercando la soluzione più soddisfacente per la comunità degli individui.
Al di là del giudizio critico in merito alla filosofia illuministica, non c’è dubbio che essa ha contribuito a mutare secondo direzioni irreversibili il cammino del genere umano, in tutti i diversi settori dell’esperienza e, nel contempo, a generare un clima di fiducia e di ottimismo sulle sorti di progresso dell’umanità. E non c’è dubbio che, almeno dal punto di vista del sapere applicato e della evoluzione tecnologica, la cultura illuministica ha in parte realizzato i suoi propositi.
Rispetto a questa sintesi estremamente scolastica, ci sembra che il cinema di Kubrick si collochi in una posizione decisamente critica, ma capace di esprimere in modo sofferto, articolato e complesso tale criticità. In altre parole, Kubrick sembra condividere il giudizio di disillusione – più volte espresso nella saggistica filosofica posteriore – sulla liberazione auspicata dalla cultura illuministica, constatando una subordinazione della ragione alla pulsione; subordinazione alla base del fallimento di ogni autentico proposito emancipativo che, dal 700, ha tentato di realizzarsi. E’ difficile però affermare se, per Kubrick, la constatazione dell’impotenza della ragione rispetto alla pulsione equivalga a un giudizio negativo sul movimento illuministico in sé, come si ribadisce nello straordinario saggio di Adorno e Horkheimer.
Non appare infatti così evidente la presa di distanza di Kubrick dalle convinzioni dell’illuminismo. Altri due grandi esponenti del marxismo del Novecento – Ernst Bloch e György Lukacs, per esempio – hanno dato luogo a concezioni storico filosofiche totalmente aliene da dogmatismo e capaci di interrogarsi sulle difficoltà incontrate dai vari programmi emancipativi, senza peraltro rinunciare alla valutazione positiva dell’illuminismo. Anzi la fedeltà ai suoi assunti – fiducia nella ragione, capacità della stessa di impedire atteggiamenti di intolleranza, dogmatismo, addirittura di poter circoscrivere i limiti entro cui discutere problematiche etiche e religiose, ad impedire un loro trasformarsi in pratiche autoritarie -, ha semmai permesso di porsi in modo critico verso le prospettive utopiche, corrgendo in fieri gli errori commessi nell’analisi della realtà storico – politica.
Non è questa ovviamente la sede per intervenire su un simile dibattito; intendo solo ribadire, prima di iniziare le analisi delle diverse opere di Kubrick come, pur nella evidente disillusione avvertita dal regista sulle possibilità effettive della ragione di realizzare i propri programmi emancipativi – non è possibile conseguirne una posizione di rifiuto aprioristico dei principi della stessa ragione illuministica. Semmai è possibile sottolineare un senso di rassegnazione, o di rassegnata disperazione, per il fatto che tali principi – in sé positivi – non hanno la minima possibilità di realizzarsi nella realtà.
Mentre Horkheimer ed Adorno individuavano nello spirito dell’illuminismo l’intenzione di dominio sulle masse poi concretamente dispiegatasi con l’imporsi della tecnica, è impossibile stabilire – sulla base delle analisi che intendo proporre – se nei capolavori del regista la disillusione verso la ragione coincide con una presa di distanza dalla medesima.
L’analisi delle opere di Kubrick si apre con 2001: Odissea nello spazio (1968), per proseguire in ordine cronologico sino ad Eyes wide shut (2000); successivamente, saranno considerati Lolita e Il dottor stranamore. Diventa a quel punto possibile, partendo dalla prima opera (Fear and Desire, …) proseguire in ordine cronologico sino all’esaurimento della filmografia.
La ragione di questa esposizione apparentemente anomala risiede nel fatto che, a mio parere, la riflessione cosciente del regista sulle problematiche che trovano principale riferimento nel secolo XVIII si verifica solo a partire dai grandi capolavori e, in particolare, da 2001: Odissea nello spazio, dove troviamo, del resto, i primi riferimenti iconografici relativi a quella epoca.
Non si tratta ovviamente di una tematizzazione storica del Settecento, ma di una riflessione concettuale in merito alle conseguenze prodotte da quell’epoca sulla evoluzione della civiltà; non si tratta quindi inseguire una cronologia (se fosse per questo, Barry Lyndon sarebbe in assoluto il film più significativo, mentre è solo uno dei meravigliosi tasselli del mosaico), ma di individuare un’ossessione tematica che ritorna a mio avviso continuamente nelle diverse opere. Anche nella filmografia precedente tali problematiche sono presenti, tanto che alcuni film – i due sopra citati, Orizzonti di gloria e Rapina a mano armata – sono straordinariamente anticipatori di alcune situazioni qualificanti delle opere successive; si può anzi affermare con assoluta sicurezza che l’opera di Kubrick, dal punto di vista dei temi trattati, costituisca un’unità compatta; solamente – questa è la mia impressione – il regista ha raggiunto la consapevolezza che tali suoi interessi tematici trovavano il loro fondamento nella cultura dell’illuminismo, solo dopo averli affrontati più volte nelle sue prime opere. E’ per questo che, a mio parere, le opere della prima parte della filmografia possono essere – dal punto di vista critico adottato in questo studio –meglio apprezzate retrospettivamente, come anticipazioni di quei temi espressi al meglio in seguito.
Tale scelta non vuole determinare in sé dei giudizi estetici né sottrarre legittimità ad altri punti di vista critici. Alcuni film analizzati nella parte finale dello studio, infatti, sono assoluti capolavori, che non possono essere sminuiti per il fatto che occupano una posizione marginale rispetto alla lettura qui proposta (penso a Orizzonti di gloria e aRapina a mano armata). Inoltre, l’impostazione da me seguita mette in secondo piano il problema dei generi, estremamente rilevante per uno studio critico sul regista: non c’è dubbio infatti che, con lo svilupparsi della propria filmografia, Kubrick abbia affrontato continuamente diversi generi cinematografici: dalla science fiction, al film storico, all’horror al genere bellico; ed è sicuramente interessante sottolineare come la medesima tematica venga poi piegata a soggetti che si riferiscono a generi diversi, sia pure assunti criticamente. Questo, fra l’altro, non fa che sottolineare ulteriormente l’universalità quasi ossessiva con cui il regista si è confrontato con alcuni problemi filosofici fondamentali. Pure una lettura del lavoro di Kubrick concentrato in riferimento ai generi godrebbe di una sua indipendenza e avrebbe il merito di esaltare valori estetici altrettanto fondamentali per apprezzare il regista quanto quelli sottolineati nel presente lavoro.